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Documenti nazisti ritrovati negli Archivi della Corte Suprema Argentina

Scoperta storica presso la Corte Suprema argentina: ritrovati centinaia di passaporti e tessere di iscritti al partito nazista. Dodici scatole di legno contenenti documentazione nazista, giunte in Argentina nel 1941, sono state ritrovate nei suoi archivi durante i lavori per la creazione del Museo della Corte Suprema. Questo materiale, sigillato per decenni, potrebbe rivelare dettagli inediti sulle attività del Terzo Reich in Sudamerica e sul ruolo dell’Argentina nella gestione di tali documenti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Giovanni Preziosi

Giovanni Preziosi

Giovanni Preziosi nasce 55 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea. Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”. Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) e “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (SECONDA EDIZIONE - Independent Publishing, maggio 2022) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.
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La recente scoperta di materiale propagandistico nazista negli archivi della Corte Suprema di Giustizia della Repubblica Argentina rappresenta un evento di rilievo internazionale, che trascende la mera curiosità archivistica per proiettarsi nel campo della ricerca storica, della giustizia e della comprensione delle complesse dinamiche geopolitiche del Sud America durante la Seconda Guerra Mondiale. L’accurata disamina di questa scoperta, avvenuta in maniera del tutto fortuita nel corso dei preparativi per la creazione del Museo della Corte Suprema, tuttavia, necessita di un’accurata analisi che integri prospettive storiografiche, giuridiche e politiche, al fine di valutarne appieno le implicazioni e il potenziale impatto. La notizia, appena diffusa dagli organi di stampa e dalla stessa Corte Suprema de Justicia de la Nación, immediatamente ha suscitato un’ondata di interesse a livello mondiale aprendo, presumibilmente, nuove piste di ricerca sulla presenza e le attività del nazismo in Argentina.

In ogni caso, a prim’acchito, tutto lascia supporre che ci troviamo di fronte ad una scoperta di notevole importanza storica, considerato che sono stati rinvenuti centinaia di passaporti, tessere di iscrizione al partito nazista argentino e altri documenti risalenti agli anni ’40. Il ritrovamento è avvenuto quasi per caso durante i lavori di ristrutturazione per la creazione del Museo della Corte Suprema; nel seminterrato del Palazzo dei Tribunali, all’improvviso i funzionari sono stati attratti da 12 scatole di legno. Appena le hanno aperte lo stupore è stato incontenibile quando hanno rinvenuto centinaia di carte del partito nazista argentino, passaporti e altri documenti giunti in Argentina nel 1941 su una nave giapponese, hanno rivelato fonti giudiziarie in esclusiva a Clarín.

L’iter burocratico e la competenza della Corte Suprema: un caso di diritto internazionale e interessi nazionali

La storia delle scatole ritrovate, dall’arrivo a Buenos Aires al sequestro da parte del giudice Jantus e al successivo deferimento alla Corte Suprema, solleva importanti questioni giuridiche. La dichiarazione del materiale come “effetti personali” da parte dell’ambasciata tedesca, l’intervento della dogana e l’azione della commissione parlamentare delineano un quadro complesso di competenze e responsabilità.

Il deferimento del caso alla Corte Suprema da parte del giudice Jantus, motivato dal coinvolgimento diretto di un paese straniero, sottolinea la natura internazionale della questione. La competenza della Corte Suprema in casi che coinvolgono stati esteri è radicata nel diritto internazionale e nella necessità di bilanciare gli interessi nazionali con il rispetto delle norme e delle consuetudini internazionali.

In questo contesto, il ruolo della Corte Suprema non si limita alla mera applicazione del diritto, ma si estende alla tutela della sovranità nazionale e alla definizione della politica estera argentina. La decisione della Corte Suprema di sequestrare il materiale propagandistico nazista può essere interpretata come un atto di equilibrio tra la necessità di mantenere la neutralità formale e l’imperativo di contrastare la diffusione di un’ideologia antidemocratica e lesiva degli interessi nazionali.

Dettagli del ritrovamento

Secondo quanto riportato dal quotidiano argentino Clarín, che ha dato la notizia in esclusiva, i documenti erano contenuti in dodici casse di legno originariamente utilizzate per il trasporto di champagne Crillón. All’interno, oltre ai passaporti e alle tessere di iscrizione, sono stati rinvenuti materiali di propaganda nazista, fotografie, proclami e altri oggetti che testimoniano gli sforzi compiuti per diffondere l’ideologia hitleriana in Argentina durante la Seconda Guerra Mondiale.

Particolarmente significativi sono i centinaia di libretti rinvenuti, tra cui quelli dell’Organización del Partido Nacionalsocialista Obrero Alemán all’estero e dell’Unión Alemana de Gremios, caratterizzati dalla presenza della svastica. Altri documenti conterrebbero persino firme autografe di Adolf Hitler.

Il contenuto delle scatole: un tesoro di informazioni sull’Olocausto e le reti finanziarie naziste?

L’aspetto più intrigante della scoperta riguarda il contenuto delle scatole. La presenza di materiale propagandistico, di quaderni appartenenti a organizzazioni naziste all’estero e di altri documenti di natura ideologica suggerisce un tentativo di indottrinamento e di diffusione dell’ideologia nazista in Argentina.

Tuttavia, le implicazioni della scoperta vanno ben oltre la mera propaganda. L’indagine commissionata dal Presidente Horacio Rosatti mira a determinare se il materiale contenga informazioni cruciali sull’Olocausto e sulla rete finanziaria del regime nazista.  Rosatti ha guidato l’apertura formale dei pacchi in un ufficio al quarto piano del Palazzo dei Tribunali. All’evento hanno partecipato il rabbino capo dell’AMIA, Eliahu Hamra; il Direttore Esecutivo del Museo dell’Olocausto di Buenos Aires, Jonathan Karszenbaum, e la ricercatrice dello stesso museo, la professoressa Marcia Ras. Hanno partecipato anche il capo del Centro federale di assistenza giudiziaria, Pablo Lamounan; la direttrice delle Biblioteche della Corte Suprema, Jessica Susco; il direttore dell’Ufficio dei Servizi Ausiliari, Marcelo Valente, e l’esperta in conservazione e restauro dei beni culturali María de la Paz Podestá.

Questa ipotesi è supportata da diverse considerazioni:

  • La rotta del denaro nazista: Dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, numerosi esponenti del regime nazista fuggirono in Sud America, portando con sé ingenti somme di denaro e beni di valore. L’Argentina, insieme ad altri paesi della regione, divenne un rifugio sicuro per i criminali di guerra e un centro di riciclaggio di capitali illeciti. Il materiale ritrovato potrebbe contenere indizi sulla provenienza, la destinazione e i meccanismi di riciclaggio di questi capitali.
  • Il ruolo dell’Argentina nell’Olocausto: Sebbene l’Argentina non fosse direttamente coinvolta nell’Olocausto, la sua politica di immigrazione e la sua tolleranza nei confronti del nazismo contribuirono indirettamente alla persecuzione degli ebrei in Europa. Il materiale ritrovato potrebbe fornire nuove informazioni sulle connessioni tra il governo argentino e il regime nazista, e sulla conoscenza che le autorità argentine avevano dell’Olocausto.
  • L’identificazione di responsabili e complici: L’indagine potrebbe portare all’identificazione di persone e organizzazioni che collaborarono con il regime nazista in Argentina, sia prima che dopo la guerra. La scoperta potrebbe quindi contribuire a far luce su un capitolo oscuro della storia di quel paese e a rendere giustizia alle vittime dell’Olocausto.

Contesto storico: L’Argentina e la sua complessa neutralità durante la Seconda Guerra Mondiale

Per comprendere la rilevanza del ritrovamento, è fondamentale contestualizzare la posizione dell’Argentina durante la Seconda Guerra Mondiale. Formalmente neutrale fino al 1945, il paese sudamericano oscillava tra una forte presenza di comunità tedesche e italiane, un’élite economica legata agli interessi europei, e la crescente pressione delle potenze alleate per un’adesione alla lotta contro il nazifascismo.

La neutralità argentina era tutt’altro che imparziale. Numerosi studi hanno dimostrato la presenza di una forte corrente filo-nazista all’interno del governo e dell’esercito, che facilitò l’ingresso di capitali e personale legato al regime di Hitler nel paese. Questa ambivalenza favorì la creazione di una rete di sostegno al nazismo in Argentina, che si manifestò attraverso attività propagandistiche, finanziamenti occulti e la fuga di criminali di guerra dopo il conflitto.

La Comisión Especial Investigadora de las Actividades Antiargentina rappresenta un tentativo, seppur parziale e tardivo, di arginare l’influenza nazista nel paese. La sua attività, focalizzata sull’indagine su attività sovversive e sulla propaganda antidemocratica, evidenzia la presenza di una coscienza democratica e di un desiderio di contrastare l’ideologia nazista, ma anche le limitazioni e le resistenze che tali sforzi incontrarono.

Secondo quanto è stato possibile ricostruire preliminarmente la storia di queste scatole risale al 20 giugno 1941, allorché giunsero in Argentina questi 83 pacchi a bordo del piroscafo giapponese “Nan-a-Maru”, inviati dall’ambasciata tedesca a Tokyo. La rappresentanza diplomatica tedesca in Argentina aveva dichiarato il contenuto come effetti personali dei suoi membri, richiedendone lo sdoganamento senza restrizioni.

Tuttavia, la División de Aduanas y Puertos  ne bloccò bloccò l’ingresso e coinvolse l’allora ministro degli Esteri Enrique Ruiz Guiñazú, segnalando possibili problematiche legate alla quantità e alla natura potenziale del materiale, che avrebbero potuto compromettere la neutralità dell’Argentina nel conflitto europeo. La Comisión Especial Investigadora de las Actividades Antiargentina – dipendente dalla Camera dei Deputati e operativa tra il 1941 e il 1943 – intervenne sulla questione. Il deputato radicale Raúl Damonte Taborda, presidente della commissione, chiese alla Dogana informazioni sugli invii effettuati dal piroscafo giapponese.

L’8 agosto 1941, rappresentanti della Dogana, del Ministero degli Esteri e della commissione aprirono cinque scatole a caso: tra i documenti rinvenuti vi erano cartoline, fotografie e materiale propagandistico del regime tedesco, oltre a migliaia di libretti appartenenti all’Organizzazione del Organización del Partido Nacionalsocialista Obrero Alemán all’estero e dell’Unión Alemana de Gremios.

I rappresentanti diplomatici tedeschi chiesero la restituzione dei pacchi per rispedirli alla loro ambasciata a Tokyo. I funzionari nazionali inizialmente propendevano per accogliere la richiesta, ma la commissione investigativa ricorse ai tribunali per impedirlo, considerando la presenza di propaganda antidemocratica e lesiva per le nazioni alleate dell’Argentina nel materiale già esaminato. Inoltre, si sottolineò che le scatole erano state controllate solo in maniera casuale e che, in precedenza, l’ambasciata tedesca aveva già falsamente dichiarato l’ingresso di un trasmettitore radiotelelegrafico come corrispondenza diplomatica.

Il giudice federale della Capitale Federale, Miguel Luciano Jantus, ordinò il sequestro delle spedizioni il 13 settembre 1941. Il magistrato richiese ulteriori informazioni e dispose la confisca del materiale. Tre giorni dopo, il 16 settembre 1941, il giudice trasmise il caso alla Corte Suprema, trattandosi di una questione che coinvolgeva direttamente un paese straniero e rientrava quindi nella competenza originaria del massimo tribunale.

Il trasferimento degli archivi per la futura installazione del museo della Corte Suprema portò i funzionari a imbattersi in queste scatole, accantonate nel seminterrato dell’edificio. Il direttore dell’Ufficio dei Servizi Ausiliari, Marcelo Valente, informò il responsabile del Centro di Assistenza Giudiziaria Federale, Pablo Lamounan, che ordinò l’immediata preservazione degli oggetti e riferì la situazione al presidente della Corte.

Ora Rosatti ha disposto il trasferimento del materiale in una sala appositamente attrezzata al quarto piano del tribunale, con misure di sicurezza rafforzate. Lo scorso venerdì si è proceduto all’apertura delle scatole davanti a esperti e ricercatori. Da questo momento inizierà un inventario per catalogare la documentazione. L’obiettivo principale è realizzare un approfondito esame per determinare se il materiale contenga informazioni cruciali sull’Olocausto e se gli indizi rinvenuti possano far luce su aspetti ancora sconosciuti, come la rete globale dei flussi finanziari nazisti.

Carta d’identità argentina del gerarca nazista Adolf Eichmann.

In questo contesto, è importante ricordare che il 26 dicembre 2024, con la firma dei giudici Rosatti, Carlos Rosenkrantz e Juan Carlos Maqueda, la Corte Suprema ha sottoscritto un accordo di cooperazione con l’Associazione degli Avvocati Ebrei della Repubblica Argentina e la Fondazione Memoria dell’Olocausto, con l’obiettivo di promuovere attività congiunte di ricerca e divulgazione. Il Museo dell’Olocausto è stato specificamente chiamato a collaborare all’indagine sul materiale recentemente scoperto e sulla sua rilevanza storica.

Implicazioni storiche e politiche

La scoperta di questo materiale getta nuova luce sulla storia del nazismo in Argentina, un paese che, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha ospitato numerosi gerarchi nazisti in fuga dalla giustizia internazionale. Si stima che la sezione argentina del partito nazista abbia raggiunto i 12.000 iscritti e che alcuni di essi abbiano avuto conti bancari presso l’allora Credit Suisse, utilizzati, secondo il Centro Simon Wiesenthal, per finanziare l’arrivo di nazisti in Argentina.

Il ritrovamento potrebbe fornire indizi importanti per ricostruire le reti di finanziamento del nazismo in Argentina e le modalità con cui i gerarchi nazisti riuscirono a rifugiarsi nel paese sudamericano. Inoltre, la documentazione rinvenuta potrebbe contribuire a far luce su aspetti ancora oscuri dell’Olocausto e sulla complicità di alcuni settori della società argentina con il regime nazista.

Le indagini in corso

La Corte Suprema argentina ha immediatamente disposto la messa in sicurezza e l’inventario del materiale rinvenuto, affidando l’incarico a un team di esperti con il supporto del Museo dell’Olocausto di Buenos Aires. L’obiettivo è quello di analizzare minuziosamente la documentazione per valutare la sua rilevanza storica e accertare se contenga informazioni cruciali per chiarire eventi legati all’Olocausto e alla presenza di nazisti in Argentina.

Parallelamente, le autorità giudiziarie stanno indagando sull’origine dei documenti e sulle ragioni per cui sono rimasti archiviati per oltre ottant’anni nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Secondo quanto ricostruito finora, le casse contenenti il materiale nazista erano arrivate in Argentina nel 1941 a bordo di una nave giapponese, ma erano state sequestrate dalle autorità doganali a seguito di una denuncia presentata da una commissione parlamentare che indagava sulle attività antidemocratiche nel paese.

Il contesto storico

Il ritrovamento di questi documenti nazisti riapre il dibattito sulla complicata relazione tra l’Argentina e il nazismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il paese sudamericano mantenne una posizione neutrale, ma al tempo stesso ospitò una numerosa comunità di origine tedesca, all’interno della quale si svilupparono gruppi di simpatizzanti del regime hitleriano.

Dopo la guerra, l’Argentina divenne un rifugio sicuro per molti gerarchi nazisti, tra cui Josef Mengele e Adolf Eichmann, che trovarono protezione grazie alla complicità di alcuni settori del governo e della società argentina. La scoperta di questi documenti potrebbe contribuire a far luce su questo capitolo oscuro della storia argentina e a promuovere una riflessione critica sul passato.

Prospettive future: un’indagine multidisciplinare e la collaborazione internazionale

L’indagine avviata dalla Corte Suprema rappresenta un’opportunità unica per approfondire la conoscenza del nazismo in Argentina e del suo impatto sulla società e sulla politica del paese. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale adottare un approccio multidisciplinare che coinvolga storici, archivisti, giuristi, economisti e specialisti dell’Olocausto.

La notizia del ritrovamento ha suscitato grande interesse anche a livello internazionale, con numerose istituzioni e organizzazioni che si sono offerte di collaborare alle indagini. In particolare, il Museo dell’Olocausto di Washington e il Centro Simon Wiesenthal hanno espresso la loro disponibilità a fornire supporto scientifico e tecnico per l’analisi dei documenti e la ricostruzione degli eventi storici, essenziale per garantire il rigore scientifico e l’accuratezza storica dell’indagine. Lo scambio di informazioni e la condivisione di risorse possono contribuire a svelare la verità e a promuovere la memoria dell’Olocausto.

La scoperta negli archivi della Corte Suprema argentina non è solo un evento storico, ma anche un’occasione per riflettere sulle responsabilità del passato e per rafforzare l’impegno nella difesa dei diritti umani e nella lotta contro il razzismo, l’antisemitismo e ogni forma di discriminazione. L’indagine in corso rappresenta un contributo importante alla costruzione di una società più giusta e consapevole, capace di imparare dagli errori del passato e di guardare al futuro con speranza.

A tal proposito vi propongo, qui di seguito, un breve stralcio del mio libro dato alle stampe nel 2017 dal titolo:

“Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l’espatrio clandestino dei fascisti”

“Si salvi chi può”: Stille Hilfe e il Movimento italiano femminile “Fede e famiglia” nell’esfiltrazione clandestina degli ex gerarchi nazisti e fascisti.

Nel frattempo, considerata la piega negativa che stavano prendendo gli eventi, anche alcuni ex gerarchi fascisti e nazisti, per sfuggire ai loro aguzzini, riuscirono a trovare dapprima un provvidenziale rifugio in vari monasteri, conventi e collegi ecclesiastici dopodiché, usufruendo molto probabilmente delle ben note ratlines, riuscirono ad espatriare oltreoceano sotto mentite spoglie in paesi piuttosto compiacenti. Del resto queste “reti di fuga” si rivelarono davvero molto efficaci in quanto disponevano della quantità sufficiente di denaro e di appoggi logistici tali da garantire un adeguato funzionamento. Fin dal 1936 il Terzo Reich aveva individuato nel Sud-America la terra prediletta dove rifugiarsi in caso di pericolo.

Proprio per questo motivo da quel momento in poi s’intensificarono, nel più stretto riserbo, una serie di missioni segrete esplorative che si conclusero con quella condotta dalla marina del Reich quando ormai la guerra volgeva al termine, a cui fu dato il nome in codice di Oltremare Sud dall’ammiraglio Karl Dönitz, il fedele gerarca che Hitler aveva designato come suo successore. Fu, infatti, proprio lui che, ai principi di maggio del 1945, ordinò a cinque U-Boot dell’ultima generazione, tutti con lo stesso numero di matricola U-533, con il tacito consenso dell’ammiragliato britannico, di salpare dalla base norvegese di Bergen per fare rotta verso il Sud-America con un carico speciale: armi, denaro e per l’appunto gerarchi nazisti.[1]

Uno di questi sottomarini, tuttavia, fu intercettato nella baia di New York nel mese di giugno dagli americani che scoprirono un carico di uranio; un altro, invece, si scontrò con l’incrociatore brasiliano Bahia che lo affondò mietendo ben 336 vittime, mentre una terza imbarcazione, il 15 ottobre 1945, riuscì ad approdare sulle coste argentine di Mar del Plata, a Buenos Aires, coperti dall’Armada argentina in complicità con gli ammiragli di Gran Bretagna e Stati Uniti.[2]

Questo, in realtà, è soltanto l’inizio perché, in seguito, altri gerachi nazisti e fascisti approderanno in Sud america seguendo un altro itinerario, sotto mentite spoglie, con l’ausilio di salvacondotti e passaporti generosamente procurati dalla Croce Rossa Internazionale e da alcuni sacerdoti piuttosto compiacenti. Il porto di Genova rappresentò in quegli anni il centro di smistamento e d’imbarco. È noto, ormai, che all’indomani della caduta del regime fascista scattò l’operazione per agevolare l’esfiltrazione[3] di alcuni dei più famigerati gerarchi nazisti e fascisti i quali, per non destare alcun sospetto, spesso passarono l’Atlantico travestiti da prete e muniti di adeguati passaporti di copertura col tacito consenso, dapprima dell’Office of Strategic Service[4] e poi del Secret Service Unity (organismo di transizione tra l’O.S.S. e la C.I.A.) diretto a Roma dal capitano James Jesus Angleton.[5] In questa sofisticata operazione di esfiltrazione, dunque, fu coinvolta anche l’intelligence statunitense, che si adoperò per impedire la cattura di tutti quei personaggi legati a filo doppio con i regimi dittatoriali nazista, fascista e ustascia – evidentemente allo scopo di poter utilizzare gli importanti segreti politico-militari di cui erano al corrente – mettendoli nelle condizioni di poter sfuggire ai propri aguzzini, mediante l’ausilio di una rete ben collaudata chiamata per l’appunto la via dei conventi.

Di questa sia pur discreta ed indiretta protezione fruirono, infatti, anche alcuni ex gerarchi nazisti e soprattutto gli esponenti del regime ustascia croato, contraddistintosi per le feroci operazioni di “pulizia etnica” ai danni di ebrei e serbi ortodossi. Lo stesso capo dello stato croato, il poglavnik Ante Pavelić, dopo varie peregrinazioni, nella primavera del 1946, fu accolto a Roma fino a che, grazie ai buoni uffici di padre Krunoslav Draganović, munito di passaporto falso rilasciato dalla Croce Rossa Internazionale, nell’ottobre 1948 riuscì ad imbarcarsi su un piroscafo battente bandiera italiana che da Genova lo condusse a Buenos Aires, dove continuò a vivere indisturbato sotto la protezione di Perón.[6]

Ma prima di affrontare più approfonditamente e con dovizia di particolari questa spinosa vicenda, cerchiamo di capirne il senso. Si tratta senza dubbio di una questione quanto mai delicata e complessa. Difatti, il ricorso alle formulazioni astratte del diritto e l’utilizzazione di categorie di un generico moralismo risultano per la Chiesa del tutto improprie, specie nel caso dei perseguitati politici e ad ancor maggior ragione in quello degli appartenenti ad altre fedi religiose e degli aderenti a credi filosofico-ideologici avversi ai principi cristiani.

Com’è evidente, se la Chiesa avesse voluto applicare tali metri di valutazione non avrebbe certo potuto accogliere nel 1943-‘44 sotto la sua protezione e salvare da morte certa nella sola Roma alcune migliaia di ebrei e di antifascisti, molti dei quali tutt’altro che vicini alla Chiesa, fatti oggetti e vittime di discriminazione, di persecuzione e persino di sterminio da parte di autorità legali anche se non legittime in base al diritto naturale.

Del resto per quanto concerne la vicenda, tornata di attualità nel dibattito storiografico in questi ultimi anni, relativa alla protezione concessa ai vari gerarchi nazi-fascisti, merita una certa attenzione la strategia politica che fu attuata dai servizi di sicurezza alleati nei confronti dei depositari di delicati segreti politico-militari, a cominciare dagli scienziati atomici tedeschi – tra cui spiccavano Wernher von Braun, Kurt H. Debus, Arthur Rudolph ed il fisico Hubertus Strughold – passata alla storia col nome in codice di Operazione Paperclip, i quali furono reclutati dalle potenze occidentali per acquisire le loro conoscenze scientifiche.[7]

   C’è poi da aggiungere, sul controverso argomento, come, alla fine della guerra, si sia verificato un vero e proprio fenomeno di penetrazione in alcune strutture della Chiesa da parte di organizzazioni clandestine naziste, particolarmente temibili e pericolose. Ci riferiamo innanzitutto ad Odessa (acronimo di Organisation Der Ehemaligen S.S. Anghehörigen, ossia Organizzazione degli ex membri delle S.S.) l’organizzazione segreta sorta verso la fine del conflitto e che ha operato per decenni, ben oltre la fine della guerra, preposta al salvataggio degli ex gerarchi nazisti ormai orfani di Hitler, su cui ha alcuni anni or sono richiamato l’attenzione Uki Goñi nel suo libro dal titolo fin troppo eloquente: Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón.[8]

Tuttavia, recentemente, la tesi di fondo sostenuta pervicacemente da Goñi è stata messa in discussione nell’accurato saggio dato alle stampe nel 2012 dagli storici genovesi Sergio Pessot e Piero Vassallo dal titolo Odessa: la vera storia e la leggenda nera, che cerca di ribaltare le teorie formulate fin dagli anni Sessanta di connivenza della gerarchia cattolica perfino con i più incalliti criminali nazisti i quali riuscirono a far perdere le proprie tracce grazie all’aiuto del controspionaggio americano ed alla famigerata rete dei conventi, passata alla storia con un termine alquanto fuorviante come quello di ratline. Gli autori, in effetti, nel loro saggio non negano affatto che la struttura allestita dalla Curia genovese abbia contribuito a far emigrare clandestinamente alcuni gerarchi nazisti delle SS, ufficiali francesi del governo collaborazionista di Pétain, fascisti della RSI e non pochi esponenti ustaša croati, ma offrono una nuova chiave di lettura contestualizzando gli avvenimenti che si svolsero in quel periodo nel clima arroventato del dopoguerra.

Ma, lo fece in realtà, per due ragioni ben precise: innanzitutto, per un senso di evangelica pietas cristiana, ed in secondo luogo, per sottrarli a giudizi fin troppo affrettati ed alla vendetta degli alleati, che certamente in quei frangenti non avrebbero esitato un solo istante ad infliggere loro una severa condanna e magari passarli anche per le armi. Secondo il ben noto principio einaudiano di “conoscere prima di deliberare”.[9]

La curia genovese, infatti, si avvaleva all’epoca del prezioso ausilio di due associazioni d’ispirazione cattolica quali l’Auxilium, fondata nel 1931 come ente di assistenza e beneficenza, e il Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina, sorto invece nel 1946. Senza contare che perfino la Pontificia Commissione di Assistenza aveva un ufficio nella stazione ferroviaria della città, nei pressi di Porta Principe. Tuttavia uno dei più importanti centri di accoglienza si rivelò la chiesa di San Teodoro – che sorge proprio di fronte al porto di Genova, da dove partivano le navi dell’armatore Costa dirette in Argentina – di cui era parroco fin dal 1938 l’intrepido don Bruno Venturelli, fiduciario del vescovo ausiliare di Genova mons. Siri e amico dell’armatore Giacomino Costa,[10] il quale, in quel periodo, col beneplacito del Monsignore, svolse il suo ministero sacerdotale all’insegna della carità e si rese protagonista di altre iniziative per così dire “umanitarie” non proprio ortodosse, divenendo in tal modo punto di riferimento per chiunque avesse bisogno di aiuto e di conforto, compresi alcuni  fuggiaschi – come l’ex ministro della Cultura del governo di Vichy William Guyedan de Roussel,[11] condannato per collaborazionismo – che sostarono presso la sua parrocchia ricevendo cibo, assistenza e documenti prima di imbarcarsi sulle navi che li avrebbero condotti in salvo sulle coste sud americane.[12]

Nell’ambito del totalitarismo nazista – che aveva in realtà, al di là della facciata monolitica, disgregato e privatizzato la società e lo Stato –, le S.S. avevano finito col costituire una struttura sostanzialmente autonoma e autosufficiente, finalizzata ad un’economia di rapina attraverso lo sfruttamento dei territori conquistati e della gestione dell’universo concentrazionario.

Tuttavia, con l’approssimarsi della sconfitta, questo vero e proprio “Stato nello Stato”, presagendo evidentemente il triste destino a cui andavano incontro i suoi membri, si era organizzato allestendo una sofisticata rete di assistenza clandestina che si proponeva un duplice obiettivo: trarre in salvo innanzitutto i gerarchi più compromessi col regime hitleriano, e poi dar vita ad una sorta di quarto Reich per realizzare i sogni incompiuti del Führer.[13]

Di conseguenza, a partire dal gennaio del 1945, la struttura delle S.S., senza dare troppo nell’occhio, si andò fatalmente sgretolando, passando alla clandestinità. Difatti, già da qualche tempo, gli aderenti alle S.S. distaccati presso le varie ambasciate estere, avevano stretto importanti accordi con governi, partiti, industrie e istituzioni religiose, provvedendo a depositare, nel frattempo, finanche ingenti fondi segreti nelle banche svizzere e mediorientali, frutto dei profitti di guerra compiuti dai nazisti in tutta Europa. Mediante questi capitali trasferiti all’estero, con la copertura di persone giuridiche fittizie, fu allestita una consistente rete di aziende e industrie in Paesi neutrali che non si facevano troppe domande sulla loro provenienza. La consistenza effettiva di questa sorta di “impero” finanziario lautamente sovvenzionato dagli industriali nazisti, stando ad un rapporto stilato nel 1946 dal Dipartimento del Tesoro statunitense, ammontava complessivamente a ben 750 imprese così suddivise: 98 in Argentina, 58 in Portogallo, 112 in Spagna, 214 in Svizzera e 35 in Turchia, nonché altre 233 dislocate in altri Paesi.

Lo scopo perseguito pervicacemente da questa organizzazione segreta – composta in prevalenza da ex nazisti – era quello di garantire un’adeguata protezione a chi era in pericolo fornendo falsi documenti d’identità, denaro e, all’occorrenza, assicurando finanche l’espatrio in Paesi piuttosto compiacenti mediante l’ausilio di opportune reti di fuga clandestine allestite prima della fine del conflitto proprio in previsione di una tale eventualità. In tal modo, migliaia di criminali nazisti, senza alcuna esitazione, abbandonarono rapidamente la Germania attraverso tre vie di fuga principali: la prima portava dall’Austria all’Italia e infine alla Spagna, mentre le altre due – sempre attraverso l’Italia – conducevano verso i paesi arabi e il Sud-America.[14]

Durante questo lungo tragitto, spesso e volentieri i transfughi venivano occultati in alcuni istituti religiosi consenzienti, tanto che questo percorso talvolta fu definito per l’appunto la via dei conventi. Fin dai primi di luglio del 1946, in seguito ad un’indagine condotta dalle autorità di pubblica sicurezza italiane si registra quella che nei vari rapporti che furono stilati veniva indicata senza tante perifrasi come «emigrazione illegale dei fascisti» che portò alla scoperta di un gruppo di «fascisti che si occupa(vano) di fornire di passaporto falsificato amici che intend(evano) continuare all’estero la propria attività o che (erano) costretti a rifugiarvisi per sfuggire alla giustizia italiana».[15]

In questo dettagliato rapporto inviato al capo della Polizia veniva specificato, con dovizia di particolari, il funzionamento di questa organizzazione che faceva riferimento a due figure principali: l’ex capitano della milizia volontaria per la sicurezza nazionale Ferdinando Velati ed un religioso suo parente impiegato presso l’Ufficio profughi stranieri della S. Sede che, mediante lettere di presentazione «intestate a nominativi di profughi di nazionalità iugoslava», si premurava di procurare un falso passaporto rilasciato dalla Croce Rossa i quali, poi, ottenevano il visto dal direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, Federico Umberto D’Amato, figura di primo piano in quegli anni per aver lavorato alle dipendenze di James Angleton, capo del Servizio Segreto americano, come uomo di collegamento con l’ufficio dell’Office of Strategic Service che all’epoca sorgeva nella capitale in via Sicilia.[16] Grazie a questa scrupolosa indagine, dunque, fu possibile accertare che anche i fascisti – come del resto i nazisti – riuscirono a procurarsi dei passaporti falsi proprio attraverso le organizzazioni di assistenza ai profughi che permise loro di far perdere rapidamente le loro tracce allontanandosi dal continente europeo.

Così, nel giro di poco tempo, i reduci delle S.S. allestirono un sofisticato sistema di “corrieri” che avevano il compito delicato di trasportare questi fuggiaschi in luoghi sicuri, seguendo tappe preordinate di settanta chilometri ciascuna, al termine delle quali questi transfughi venivano presi in consegna da altre persone che provvedevano a condurli allo scalo successivo, e così via di seguito fino all’approdo definitivo. L’itinerario seguito correva lungo il confine austro-tedesco, soprattutto in prossimità di Salisburgo, nei dintorni di Innsbruck e nel Tirolo.

In tal modo, attraverso questa cosiddetta via dei conventi i fuggiaschi, avvalendosi anche della complicità di alcuni religiosi, erano in grado di raggiungere i porti di Genova e di Bari, da dove poi, a bordo di qualche piroscafo, potevano approdare piuttosto agevolmente nel continente americano, in Turchia o nei Paesi Mediorientali. Nel caso di Odessa è evidente che la buona fede di molti ecclesiastici e istituti religiosi – al di là di qualche palese connivenza, quale quella del sacerdote filoustascia Krunoslav S. Draganović[17] – una delle figure più controverse della storia recente croata – e dal prelato austriaco mons. Alois Hudal, rettore fin dal 1923 del Pontificio Collegio Teutonico di S. Maria dell’Anima a Roma – fu clamorosamente sorpresa e strumentalizzata dalla ben organizzata rete clandestina nazista. Del resto lo stesso mons. Hudal, molti anni più tardi nel suo Diario romano, ha candidamente riconosciuto di aver aiutato numerosi gerarchi nazisti e fascisti, vantandosi di averne “strappati non pochi ai loro persecutori con documenti falsi e con la fuga in paesi più fortunati”.[18]

In questa maniera riuscirono a farla franca un considerevole numero di criminali del calibro di Ludolf Hermann von Alvensleben, responsabile in Polonia della morte di almeno 80.000 persone, che raggiunse l’Argentina nel 1949 a bordo di un piroscafo partito per l’appunto dal porto di Genova, trascorrendo imperturbabile il resto dei suoi giorni a Santa Rosa di Calamuchita, in provincia di Córdoba sotto mentite spoglie con lo pseudonimo di Carlos Lücke; Adolf Eichmann che, il 14 luglio 1950, sempre dal capoluogo ligure, grazie ai documenti falsi della Croce Rossa intestati a Ricardo Klement, s’imbarcò sulla nave della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina;[19] Franz Stangl, il boia di Treblinka, che raggiunse Damasco nel 1950 e l’anno successivo il Brasile dove venne arrestato solo 21 anni dopo; il dottor Josef Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz il quale, dopo aver vissuto impunemente in Germania per sei anni, tramite l’Italia e la Spagna giunse in Sudamerica nel 1951; e dulcis in fundo (ma la lista completa sarebbe troppo lunga) Walter Rauff, inventore dei furgoni-camera a gas che, sempre sotto mentite spoglie, visse indisturbato in Cile fin dal 1954. Particolare fu poi il caso degli ustascia croati. Infatti, delicate e complesse ragioni politico-religiose dettarono l’atteggiamento del Vaticano nei confronti della Croazia, che, sorta nel 1941 come Stato indipendente dallo sfacelo della Jugoslavia, era in realtà vassalla e soggetta alla Germania. La Croazia, appena liberatasi dal centralismo serbo, si vide allora imporre il regime ultranazionalista ma soprattutto fanaticamente xenofobo e razzista degli ustascia filonazisti. Ben presto la Croazia precipitò in una feroce guerra civile, contrassegnata da odiose “pulizie etniche”. Benché dominata dagli ustascia e dai nazisti, la Croazia restava però un Paese tradizionalmente e fortemente cattolico, che cercava di mantenere tale impronta, unitamente all’indipendenza nazionale.

Ne nacque uno stato di cose torbido ed ambiguo, che vide la compromissione – volontaria e involontaria – col regime di larga parte della Chiesa e del mondo cattolico croati, di cui rimase vittima nel 1945 l’arcivescovo di Zagabria, mons. Aloysius Stepinać, strenuo difensore dell’indipendenza croata quanto fedele interprete delle direttive vaticane a favore di ebrei e serbi, in questo efficacemente affiancato dal visitatore apostolico, l’abate benedettino di Montevergine, mons. Giuseppe Ramiro Marcone. L’occupazione della Croazia ad opera dei comunisti titini (all’epoca rigidamente stalinisti) portò quindi ad un’indiscriminata persecuzione di collaborazionisti, nazionalisti e cattolici, tutti omologati come ustascia. Di qui la preoccupazione e gli interventi, anche pubblici – si veda l’appello rivolto dallo stesso pontefice al governo britannico il 27 marzo 1946 per far riconoscere ai combattenti croati internati nei campi di concentramento lo status di prigionieri di guerra – volti ad evitare indiscriminate rappresaglie e vendette.


[1] Per ulteriori approfondimenti su questa vicenda si rimanda ai seguenti studi:  J. Salinas, ‎C. De Napoli, Oltremare sud. La fuga in sommergibile di più di 50 gerarchi nazisti, Tropea, 2007; G. Caldiron, I segreti del quarto Reich. La fuga dei criminali nazisti e la rete internazionale che li ha protetti, Newton Compton, 2016.

[2] M. Dolcetta, Mistero Hitler, in “L’Unità”, 30 aprile 2005, p. 25.

[3] Nel gergo dei servizi segreti sta a significare la messa in fuga di qualcuno oltre frontiera. Il Sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità, mons. Giovanni Battista Montini, aveva infatti sotto la sua supervisione l’ufficio che rilasciava i documenti per l’espatrio dei rifugiati.

[4] Questa struttura fu sciolta ufficialmente dal presidente Truman il 20 settembre 1945 ed al suo posto fu istituita la Strategic Services Unit che era sotto il controllo del Dipartimento della Guerra. Tuttavia poco dopo anche la S.S.U. fu sciolta e dalle sue ceneri nacque l’attuale C.I.A. Per un ulteriore approfondimento si rimanda alla seguente bibliografia: M. Corvo, The OSS in Italy. 1942-1945.A Personal Memoir, Praeger Publishers, New York. 1989; F. Bradley Smith, The Shadow Warriors: O.S.S. and the Origins of the C.I.A., Basic Books, Inc., New York 1983; R.H. Smith, The Secret History of America’s First Central Intelligence Agency, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, London 1972; G.C. Chalou, The Secrets War: The Office of Strategic Services in World War II, National Archives and Records Administration, Washington, D.C. 1992; D.K.E. Bruce, OSS Against the Reich: The World War II Diaries of Colonel David K. E. Bruce, Nelson Lankford, Kent State University Press, Ohio 1991; H. Montgomery Hyde, Secret Intelligence Agent: British Espionage in America and the Creation of the OSS, St. Martin’s Press, New York 1982; W. Casey, The Secret War against Hitler,Washington, D.C., Regnery, Gateway 1988; J.E. Persico, Piercing the Reich: The Penetration of Nazi Germany by American Secret Agents During World War II, Viking Press, New York 1979; J.H. Waller, The Unseen War in Europe: Espionage and Conspiracy in the Second World War, Random House, New York 1996; N.H. Petersen, From Hitler’s Doorstep. The Wartime Intelligence Reports of Allen Dulles, 1942-1945, The Pennsylvania State University Press, University Park, Pennsylvania 1996; B.M. Katz, Foreign Intelligence: Research and Analysis in the Office of Strategic Services 1942-1945, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 1989; A.W. Dulles, The Craft of Intelligence, Harper & Row, New York 1963; E. Hymoff, The OSS in World War II, Richardson & Steirman, New York 1986. 

[5] Dopo la liberazione di Roma Angleton fu inviato in Italia per assumere il comando della Strategic Services Unit, meglio nota come X-2 Branch, ovverosia quella sezione più segreta e indipendente dell’O.S.S. prima e del S.S.U. poi, che si occupava delle cosiddette “Special Operations” con compiti di sabotaggio, legami con i gruppi clandestini all’estero, finanziamento e assistenza a quei movimenti eversivi e gruppi politici che potevano ritornare utili agli interessi americani per operazioni di controspionaggio e infiltrazioni nei servizi segreti nemici (cfr. in merito A. Cipriani – G. Cipriani, Sovranità limitata. Storia dell’eversione atlantica in Italia, Edizioni Associate, Roma 1991, p. 28; R. Faenza – M. Fini, Gli americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 3-4). Il quartier generale dell’O.S.S. fu installato in via Sicilia, mentre la sede operativa della X-2 fu sistemata presso villa Errazuriz, in prossimità di via Quintino Sella. Al termine della sua missione in Italia, nel settembre del 1947 Angleton fece ritorno negli Stati Uniti dove, sei anni dopo ricevette l’incarico di guidare il servizio di controspionaggio della C.I.A. Tuttavia, nel 1974, fu costretto a rassegnare le dimissioni dopo essere stato travolto dallo scandalo Watergate. Angleton è morto nel 1987 negli Stati Uniti.

[6] Cfr. l’articolo di A. Casazza, Un prete croato all’ombra di Siri. Carlo Petranovic e la grande fuga verso l’Argentina, in “Il Secolo XIX”, 1 agosto 2003, p. 5.

[7] Questa operazione fu messa a punto dall’Office of Strategic Services (OSS) e condotta dalla Joint Intelligence Objectives Agency (JIOA) fondata nel 1945, come una branca del Joint Intelligence Committee (JIC) del Joint Chiefs of Staff (JCS), che reclutò dalla Germania nazista più di 1.500 scienziati tedeschi, ingegneri e tecnici nel contesto della nascente guerra fredda modificando i loro curriculum. Uno degli scopi dell’Operazione Paperclip fu quello di impedire che le conoscenze e le competenze scientifiche tedesche finissero nelle mani dell’Unione Sovietica e del Regno Unito, cercando – allo stesso tempo – di non mettere nelle condizioni la Germania di usufruire delle sue capacità di ricerca militare.  Si veda in merito United States National Archives and Records Administration (d’ora in poi N.A.R.A.), Foreign Scientist Case Files 1945‐1958 ‐ 230/86/46/05 186 boxes; Ivi, List of terms, code names, operations and other search terminology to assist review and identification activities required by the act, estratto 19 dicembre 2008; A. Jacobsen, Operation Paperclip: The Secret Intelligence Program that Brought Nazi Scientists to America, Little, Brown and Company, New York 2014; T. Bower, The Paperclip Conspiracy. The Hunt for Nazi Scientists, Little Brown and Co., Boston 1987; L. Hunt, Secret Agenda. The United States Government, Nazi Scientists and Project Paperclip, 1945 to 1990, St. Martin’s Press, New York 1991; G. Ciampaglia, Come ebbe effettivo inizio a Roma l’Operazione Paperclip, in “Strenna dei Romanisti”, Edit. Roma Amor, Roma 2005.

[8] U. Goñi, Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón,Garzanti, Milano 2003.

[9] Cfr. in merito il saggio di S. Pessot – P. Vassallo, Odessa: la vera storia e la leggenda nera, NovAntico, Pinerolo 2012.  

[10] Durante gli ultimi anni della guerra, mentre Giacomino era impegnato insieme a mons. Siri nell’Auxilium, a causa dell’intensificarsi dei bombardamenti, la famiglia Costa – per precauzione – fu costretta a trasferirsi, con tutti gli uffici, nelle ville di Rapallo da dove i giovani Costa, sotto la supervisione di mons. Siri, organizzarono uno spaccio di generi alimentari a prezzi calmierati per mitigare gli effetti del mercato nero allo scopo di «rifornire le persone povere di Rapallo in modo che possano risparmiare dai prezzi della borsa nera», come scrive nelle pagine del suo diario Pippo Costa il 22 febbraio 1945. Per un approfondimento sulle vicende storiche della famiglia Costa si rimanda al volume di Erika Dellacasa, I Costa: Storia di una famiglia e di un’impresa, Marsilio Editori, Venezia 2012.

[11] William Guyedan de Roussel era nato il 4 novembre 1908 a Crans-sur-Sierre una stazione turistica della Svizzera francese, nel canton Vallese, nota anche come Crans-Montana, situata tra i comuni di Icogne, Lens, Montana, Randogne, Mollens, e Chermignon, nel distretto di Sierre. Roussel, in realtà, era il nome di sua madre. Appena diciottenne si era trasferito a Parigi per studiare filosofia politica e diritto alla Sorbonne. Poi, dal 1940 al 1944, iniziò a collaborare con le SS per ripulire la Francia dalle logge massoniche infiltrate nelle istituzioni statali. In quel periodo, infatti, lavorara gomito a gomito con il direttore della Biblioteca nazionale Bernard Fay e con il colonnello delle SS Wilhelm Moritz, all’interno della sezione di polizia politica contro le sette diretta all’epoca da Marques Riviére. Al termine della guerra, per sfuggire alla condanna a morte in contumacia spiccata nei suoi confronti, grazie a queste ratlines riuscì a fuggire in Svizzera da dove, con l’aiuto del famigerato banchiere svizzero François Genoud (1915-1996), uno dei principali artefici della diaspora nazista attraverso la rete ODESSA, raggiunse Ginevra e da lì si diresse a Genova. Nel capoluogo ligure riuscì a trovare ospitalità nella sacrestia della chiesa di S. Teodoro. In seguito, con l’aiuto di padre Venturelli, s’imbarcò sul cargo Santa Fe SS, una vecchia liberty ship americana, diretta a Buenos Aires sulla quale c’erano anche Eichmann e Mengele. Giunto in Argentina in seguito, su suggerimento di un certo De Matteis, conosciuto tramite la segretaria del consolato argentino a Genova, si trasferì poi a Bariloche, dove c’era una folta comunità di ex camerati nazisti, croati e austriaci. Morì nell’agosto del 1996 nel continente latino-americano.

[12] Su questa vicenda si veda anche G. Steinacher, “Il Signor Mengele di Bolzano”: L’Alto Adige come via di fuga dei criminali nazisti (1945-1951), (2013), Faculty Publications, Department of History. Paper 146, pp. 33-56, disponibile on-line al seguente link: http://digitalcommons.unl.edu/historyfacpub/146; R. Paternoster, “Ratline”, il patto con il demonio, http://www.storiain.net/arret/num148/artic3.asp.;  G. M. Pace, La via dei demoni. La fuga in Sudamerica dei criminali nazisti: segreti, complicità, silenzi, Sperling & Kupfer, Segrate (MI) 2000, pp. 33-52; M. Dolcetta, Nazionalsocialismo esoterico: studi iniziatici e misticismo messianico nel regime hitleriano, Castelvecchi, Roma 2003, pp. 150 e 186; Id., Gli spettri del Quarto Reich, Le trame occulte del nazismo dal 1945 a oggi, BUR, Milano 2013.

[13] G. Caldiron, I segreti del quarto Reich. La fuga dei criminali nazisti e la rete internazionale che li ha protetti, op. cit.

[14] Si veda in merito anche il volume di G. M. PACE, La via dei demoni. La fuga in Sudamerica dei criminali nazisti: segreti, complicità, silenzi, op. cit.

[15] A.C.S., Min. Int., P.S. 1944-1946, b. 47, fasc. Roma. 

[16] Cfr. F. Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, Donzelli, Roma 2006, pp. 62-63. Sulla figura di Federico Umberto D’Amato vedi anche C. Lucarelli, Piazza Fontana, Torino, Einaudi 2007, p. 100.

[17] Per una biografia più completa riguardante padre Krunoslav Draganović si rimanda ai seguenti saggi: M. Krešić, Doprinos Krunoslava Draganovića hrvatskoj crkvenoj historiografiji do 1945.godine, pp. 55-67; Petar Vrankić, Okviri djelovanja prof. Krunoslava Draganovića u Italiji (1943. – 1963.) u svijetlu dostupnih arhivskih izvora i najnovijih publikacija, pp. 69-156; M. Simčić, Krunoslav Draganović i njegov odnos s Državnim Tajništvom Svete Stolice u razdoblju 1943. – 1960, pp. 217-225; J. Krišto, Krunoslav Draganović i spašavanje hrvatskih izbjeglica nakon Drugog svjetskog rata, pp. 227-256; M. Jareb, Između mitova i činjenica: odnos Krunoslava Draganovića prema poglavniku Anti Paveliću, ustaškom pokretu i Nezavisnoj Državi Hrvatskoj, pp. 291-310, in “Krunoslav Stjepan Draganović – svećenik, povjesničar i rodoljub”: zbornik radova s međunarodnoga znanstvenog simpozija o Krunoslavu Stjepanu Draganoviću povodom 110. obljetnice rođenja i 30. obljetnice smrti održanom na Katoličkom bogoslovnom fakultetu u Sarajevu od 8.-10. 11. 2013. godine”, a cura di Darko Tomašević e Miroslav Akmadža, Sarajevo, Katolički bogoslovni fakultet HKD Napredak Hrvatsko katoličko dobrotvorno društvo; Zagreb, Glas Koncila, 2014.

[18] A. Hudal, Römische Tagebücher. Lebensberichte eines alten Bischofs, Leopold Stocker, Graz-Stuttgart 1976, p. 21.

[19] Secondo la documentazione argentina Eichmann giunse nel paese latinoamericano il 14 luglio 1950 proveniente da Genova, dopo aver viaggiato sul piroscafo Giovanna C., grazie al passaporto n. 100940 rilasciato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa a tale Ricardo Klement. Il documento in questione era stato approvato dal Consolato Generale d’Argentina a Genova il 14 giugno di quello stesso anno. In seguito Eichmann ottenne a Tucuman finanche la Carta d’identità n. 341952, lavorando in quella provincia per la Compañía Argentina para Proyectos y Realizaciones Industriales (CAPRI) dal 1° ottobre 1950 al 30 aprile 1953. Successivamente, dopo il suo trasferimento nella provincia di Buenos Aires, ricevette la Carta d’identità n. 1.378.538 e si stabilì in un appartamento in Bernardo de Irigoyen 1053, Florida, nei pressi di via Santa Rosa 3366 come indicato anche da Carlota Jackisch, dove riuscì a trovare un altro lavoro nella fabbrica metallurgica Efeve gestita dal tedesco Franz Josef Viegener.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Giovanni Preziosi, 2017

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