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Convegno di studi in occasione della ricorrenza delBICENTENARIO DELLA NASCITA DI AVELLINO CAPOLUOGO DI PROVINCIAAvellino, 21 giugno 2007(Sala “Penta” della Biblioteca Provinciale di Avellino)La città di Avellino nell’era fascista(1922-1943)Relazione di Giovanni PreziosiI caratteri peculiari del fascismo irpino: Il lento ricambio e la rivincita dell’aristocrazia patrimoniale.Secondo un cliché, a dire il vero piuttosto consolidato, riproposto con forza da una certa vulgata si ritiene che l’affermazione e la conquista del potere da parte del fascismo nel Meridione sia avvenuta sostanzialmente su basi clientelari. A sostegno di questa tesi si fa rilevare che il calcolo opportunistico e l’arrivismo di quanti avevano compiuto il classico salto della quaglia per rimpinguare le file del nuovo soggetto politico, avrebbe contribuito a neutralizzare la debole spinta ideale del movimento, finendo così inevitabilmente per rinsaldare il sistema delle vecchie clientele locali a cui il Regime intendeva sovrapporsi[1]. Tuttavia, bisogna rilevare, che in questa operazione di assimilazione degli elementi della vecchia élite liberale, il Sud rappresentò un’eccezione rispetto al resto del Paese: l’establishment fascista nazionale, infatti, tentò di assorbire al suo interno la vecchia classe dirigente, badando però a non dar luogo ad un’unità indifferenziata, nella quale si smarrisse il ruolo egemone del nucleo originario fascista.Il caso campano, del resto, testimonia in modo incontrovertibile come un rinnovamento della classe dirigente non ebbe affatto luogo, se si considera che i fascisti della prima ora erano accomunati da un’esperienza di militanza in un gruppo politico democratico – quasi sempre quello nittiano – e di affiliazione massonica. Difatti, lo stesso Aurelio Padovani[2], elemento di spicco del fascismo campano, proveniva dal ceto politico liberale in quanto vantava un passato …

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