“Ritorno a Como”: la confessione prima della morte
Il sacrificio dei sei giovani partigiani del distaccamento ‘Umberto Quaino’: trucidati dalla Brigata Nera a Cima di Porlezza, un tragico episodio della Resistenza italiana.
Enzo Antonio Cicchino è nato a Isernia nel 1956. Allievo di Mario Benvenuti a Pisa. Assistente alla regia di Paolo e Vittorio Taviani e di Valentino Orsini. Documentarista, autore e conduttore televisivo di numerosi programmi di Storia. Fondatore ed Editor di "Erodoto TV".
Ha lavorato otto anni a “Mixer” e venti a “La Grande Storia” di Rai3. Ha raccontato in video numerosi episodi inerenti il fascismo, la Creazione dell'Impero, Tracce dell'Architettura del Ventennio, Città Nuove sulle città di fondazione. Propaganda e Giovinezza sull'educazione e la cultura del Ventennio. Ed ancora ha narrato i molti segreti di Mussolini, tra cui quelli di la Marcia su Roma, Attentati, Misteri della morte, Trafugamento della salma.
Nel 1995 ha creato il sito www.larchivio.com.
Ha pubblicato un romanzo La Fonte di Mazzacane, un libro di racconti Centocelle di Nani; una trilogia per il teatro Prima dello specchio, editore La Rondine.
Con Mursia ha pubblicato Il Duce attraverso il Luce (2010), Caccia all'oro nazista (2011), Correva l'anno della vendetta (2013), Il Carteggio (2016). Gerarchi (2019) più altri volumi di Storia con altri editori, tra questi Invasioni - MnM (2017).
Il 21 gennaio 1945, sei giovani del distaccamento “Umberto Quaino”, appartenente al Battaglione “Ugo Ricci” della 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, che operava sulla sponda del Ceresio, furono barbaramente trucidati nei pressi del cimitero di Cima di Porlezza in provincia di Como dall’XI Brigata Nera “Cesare Rodini”, della 6° Compagnia Centro antiribelli di Menaggio al comando del Capitano Emilio Castelli, vice federale di Como, che all’epoca ricopriva anche le funzioni di commissario prefettizio del comune di Menaggio. La Brigata fascista era composta anche dai tenenti Ferrari e Pompeo Casati, comandante del presidio di Menaggio.
Livia Bianchi
Ennio Ferrari ” Filippo”
Angelo Selva ” Puccio”
Giuseppe SelvaAndrea Capra ” Russo”
I nomi di queste giovani vittime erano: Livia Bianchi (Melara, 19 luglio 1919 – Cima Valsolda, 21 gennaio 1945) mondina col nome di battaglia “Franca”, staffetta porta-ordini e combattente nella regione montuosa del lago di Lugano; Andrea Capra (Zurigo, il 14 ottobre 1924, ma residente a Como) nome di Battaglia “Russo”; Gilberto Carminelli (Milano) nome di battaglia “Bill”; Ennio Ferrari (Monza, 18 marzo 1927 residente a Como) nome di battaglia “Carlino”; Angelo Selva (Cima, 4 maggio 1923) nome di battaglia “Puccio” e, infine, il comandante Giuseppe Selva (Cima, 31 maggio 1906 residente a Milano) col nome di battaglia “Falco”. Dopo essere riusciti a sfuggire ad un rastrellamento nazifascista sferrato nella zona nel novembre 1944, si rifugiarono in una baita all’Alpe vecchio dopodiché, dopo la metà di gennaio del 1945, decisero di scendere a valle rifugiandosi nell’abitazione di un loro amico antifascista.
Tuttavia, poco dopo, a causa di una vile soffiata, furono acciuffati dai militi fascisti in una casa di Cima dopo un violento conflitto a fuoco. Quindi, dopo essere stati spogliati e disarmati, furono passati per le armi nei pressi del cimitero di Porlezza, venendo meno alla promessa di risparmiare la loro vita. Prima dell’esecuzione avevano concesso la grazia all’unica donna del gruppo, Livia Bianchi che, tuttavia, “rifiutò per la sua dignità di donna e di partigiana, restando unita ai compagni nel supremo sacrificio”.
Per rievocare il ricordo del sacrificio di questi giovani partigiani, tutti gli anni il 21 di gennaio parte una delegazione con il sindaco in testa e le autorità religiose e militari che, insieme alla cittadinanza, ripercorrono il percorso che hanno fatto questi giovani costretti dal plotone di esecuzione fascista condotti attraverso un sentiero sul luogo dove, prima dell’esecuzione, hanno ricevuto l’estrema unzione.
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