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“Operazione Garibaldi”: la cattura di Adolf Eichmann

Nel giugno 1948 Eichmann riuscì a procurarsi dei documenti d’identità falsi dal vicario generale della Diocesi di Bressanone, Alois Pompanin intestati a tale Ricardo Klement originario di Termeno. Il 17 giugno 1950 dal porto di Genova, grazie ai documenti falsi della Croce Rossa, s’imbarcò sul piroscafo della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina dove, l’11 maggio 1960 fu scovato e catturato dagli agenti del Mossad. Adolf Eichmann arrivò in Argentina il 14 luglio 1950. Naturalmente, per motivi di sicurezza, si stabilì di volta in volta in un posto diverso, alloggiando in vari luoghi: all’inizio si stabilì in un hotel per immigrati nel quartiere di Buenos Aires di Palermo Viejo, infine, stabilì la sua dimora con sua moglie ed i suoi quattro figli in una casa situata in Calle Garibaldi a San Fernando a circa venti chilometri da Buenos Aires. Dalla cella di un carcere israeliano, dove attende il processo imputato per aver orchestrato la deportazione di milioni di ebrei, racconta in prima persona come riuscì a svanire nel nulla dopo il 1945, sfuggendo alla giustizia per oltre un decennio.

Giovanni Preziosi

Giovanni Preziosi

Giovanni Preziosi nasce 55 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea. Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”. Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) e “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (SECONDA EDIZIONE - Independent Publishing, maggio 2022) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.
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L’annuncio di Ben Gurion non era solo una notizia: era un atto di giustizia simbolica, un risarcimento morale per un popolo sterminato, e al tempo stesso una sfida politica. Come aveva fatto Israele a violare la sovranità argentina? Perché il processo si sarebbe tenuto a Gerusalemme e non a Norimberga? Quale messaggio inviava al mondo? Questo articolo ricostruisce il contesto, le implicazioni e l’eredità di quel discorso, analizzando come un breve comunicato alla Knesset abbia trasformato un’operazione segreta del Mossad in un capitolo fondamentale della lotta contro l’impunità dei crimini contro l’umanità. Tra diplomazia, etica e memoria collettiva, la voce di Ben Gurion riecheggiò come un monito: “Chiunque alzi la mano contro il popolo ebraico, lo Stato d’Israele saprà trovarlo”.

Eichmann e la macchina dello sterminio

Adolf Eichmann, nacque il 19 marzo 1906 a Solingen, in Germania. Cresciuto in una famiglia modesta, non si distinse mai per lo studio al punto che abbandonò ben presto ingegneria meccanica. Dopo aver ricoperto vari lavori, nel 1932 entrò nelle SS divenendo un esperto di “questioni ebraiche”. Da quel momento, la sua carriera nei ranghi della Schutzstaffel (SS) cominciò a prendere piede; difatti ben presto divenne un componente chiave del partito. Promosso a Obersturmbannführer, fu incaricato di organizzare i trasporti ferroviari per la deportazione degli ebrei. Durante la Conferenza di Wannsee (1942), dove si pianificò lo sterminio sistematico degli ebrei, Eichmann assunse un ruolo chiave come coordinatore operativo. Dopo la guerra, fuggì in Argentina sotto mentite spoglie, protetto da reti naziste e dal silenzio complice di alcuni governi.

Le Ratlines e le vie di fuga dei nazisti nel dopoguerra: il caso Eichmann

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Eichmann, consapevole di essere uno dei nazisti più ricercati, fuggì dall’Europa utilizzando la cosiddetta “Ratline” (linea dei topi), una rete di fuga gestita da ex SS e simpatizzanti nazisti che permetteva ai criminali di guerra di rifugiarsi in Sud America. Con l’approssimarsi della sconfitta, presagendo evidentemente il triste destino a cui andavano incontro i suoi membri, i reduci del Terzo Reich si erano organizzato allestendo una sofisticata rete di assistenza clandestina che si proponeva un duplice obiettivo: trarre in salvo innanzitutto i gerarchi più compromessi col regime hitleriano, e poi dar vita ad una sorta di quarto Reich per realizzare i sogni incompiuti del Führer.

Di conseguenza, a partire dal gennaio del 1945, la struttura delle S.S., senza dare troppo nell’occhio, si andò fatalmente sgretolando, passando alla clandestinità. Difatti, già da qualche tempo, gli aderenti alle S.S. distaccati presso le varie ambasciate estere, avevano stretto importanti accordi con governi, partiti, industrie e istituzioni religiose, provvedendo a depositare, nel frattempo, finanche ingenti fondi segreti nelle banche svizzere e mediorientali, frutto dei profitti di guerra compiuti dai nazisti in tutta Europa. Mediante questi capitali trasferiti all’estero, con la copertura di persone giuridiche fittizie, fu allestita una consistente rete di aziende e industrie in Paesi neutrali che non si facevano troppe domande sulla loro provenienza.

Lo scopo perseguito pervicacemente da questa organizzazione segreta – composta in prevalenza da ex nazisti – era quello di garantire un’adeguata protezione a chi era in pericolo fornendo falsi documenti d’identità, denaro e, all’occorrenza, assicurando finanche l’espatrio in Paesi piuttosto compiacenti mediante l’ausilio di opportune reti di fuga clandestine allestite prima della fine del conflitto proprio in previsione di una tale eventualità. In tal modo, migliaia di criminali nazisti, senza alcuna esitazione, abbandonarono rapidamente la Germania attraverso tre vie di fuga principali: la prima portava dall’Austria all’Italia e infine alla Spagna, mentre le altre due – sempre attraverso l’Italia – conducevano verso i paesi arabi e il Sud-America.

Durante questo lungo tragitto, spesso e volentieri i transfughi venivano occultati in alcuni istituti religiosi consenzienti, tanto che questo percorso talvolta fu definito per l’appunto la via dei conventi. Fin dai primi di luglio del 1946, in seguito ad un’indagine condotta dalle autorità di pubblica sicurezza italiane si registra quella che nei vari rapporti che furono stilati veniva indicata senza tante perifrasi come «emigrazione illegale dei fascisti» che portò alla scoperta di un gruppo di

fascisti che si occupa(vano) di fornire di passaporto falsificato amici che intend(evano) continuare all’estero la propria attività o che (erano) costretti a rifugiarvisi per sfuggire alla giustizia italiana.

A.C.S., Min. Int., P.S. 1944-1946, b. 47, fasc. Roma

In questo dettagliato rapporto inviato al capo della Polizia veniva specificato, con dovizia di particolari, il funzionamento di questa organizzazione che faceva riferimento a due figure principali: l’ex capitano della milizia volontaria per la sicurezza nazionale Ferdinando Velati ed un religioso suo parente impiegato presso l’Ufficio profughi stranieri della S. Sede che, mediante lettere di presentazione «intestate a nominativi di profughi di nazionalità iugoslava», si premurava di procurare un falso passaporto rilasciato dalla Croce Rossa i quali, poi, ottenevano il visto dal direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, Federico Umberto D’Amato, figura di primo piano in quegli anni per aver lavorato alle dipendenze di James Angleton, capo del Servizio Segreto americano, come uomo di collegamento con l’ufficio dell’Office of Strategic Service che all’epoca sorgeva nella capitale in via Sicilia. Grazie a questa scrupolosa indagine, dunque, fu possibile accertare che anche i fascisti – come del resto i nazisti – riuscirono a procurarsi dei passaporti falsi proprio attraverso le organizzazioni di assistenza ai profughi che permise loro di far perdere rapidamente le loro tracce allontanandosi dal continente europeo.

Così, nel giro di poco tempo, i reduci delle S.S. allestirono un sofisticato sistema di “corrieri” che avevano il compito delicato di trasportare questi fuggiaschi in luoghi sicuri, seguendo tappe preordinate di settanta chilometri ciascuna, al termine delle quali questi transfughi venivano presi in consegna da altre persone che provvedevano a condurli allo scalo successivo, e così via di seguito fino all’approdo definitivo. L’itinerario seguito correva lungo il confine austro-tedesco, soprattutto in prossimità di Salisburgo, nei dintorni di Innsbruck e nel Tirolo.

Padre Krunoslav S. Draganović

In tal modo, attraverso questa cosiddetta via dei conventi i fuggiaschi, avvalendosi anche della complicità di alcuni religiosi, erano in grado di raggiungere i porti di Genova e di Bari, da dove poi, a bordo di qualche piroscafo, potevano approdare piuttosto agevolmente nel continente americano, in Turchia o nei Paesi Mediorientali. Nel caso di Odessa è evidente che la buona fede di molti ecclesiastici e istituti religiosi – al di là di qualche palese connivenza, quale quella del sacerdote filoustascia Krunoslav S. Draganović – una delle figure più controverse della storia recente croata – e dal prelato austriaco mons. Alois Hudal, rettore fin dal 1923 del Pontificio Collegio Teutonico di S. Maria dell’Anima a Roma – fu clamorosamente sorpresa e strumentalizzata dalla ben organizzata rete clandestina nazista. Del resto lo stesso mons. Hudal, molti anni più tardi nel suo Diario romano, ha candidamente riconosciuto di aver aiutato numerosi gerarchi nazisti e fascisti, vantandosi di averne

strappati non pochi ai loro persecutori con documenti falsi e con la fuga in paesi più fortunati.

A. HUDAL, Römische Tagebücher. Lebensberichte eines alten Bischofs, Leopold Stocker, Graz-Stuttgart 1976, p. 21.
Draganovic, Krunoslav by Central Intelligence Agency

In questa maniera riuscirono a farla franca un considerevole numero di criminali del calibro di Ludolf Hermann von Alvensleben, responsabile in Polonia della morte di almeno 80.000 persone, che raggiunse l’Argentina nel 1949 a bordo di un piroscafo partito per l’appunto dal porto di Genova, trascorrendo imperturbabile il resto dei suoi giorni a Santa Rosa di Calamuchita, in provincia di Córdoba sotto mentite spoglie con lo pseudonimo di Carlos Lücke; Franz Stangl, il boia di Treblinka, che raggiunse Damasco nel 1950 e l’anno successivo il Brasile dove venne arrestato solo 21 anni dopo; il dottor Josef Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz il quale, dopo aver vissuto impunemente in Germania per sei anni, tramite l’Italia e la Spagna giunse in Sudamerica nel 1951; Walter Rauff, inventore dei furgoni-camera a gas che, sempre sotto mentite spoglie, visse indisturbato in Cile fin dal 1954 e dulcis in fundo (ma la lista completa sarebbe troppo lunga) Adolf Eichmann che, sempre dal capoluogo ligure, grazie ai documenti falsi della Croce Rossa intestati a Ricardo Klement, s’imbarcò sul piroscafo della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina.

Adolf Eichmann, uno dei maggiori responsabili della Shoah, incaricato di gestire le deportazioni dei prigionieri ebrei in diversi campi di concentramento come Auschwitz, Treblinka, Sobibor, Chelmno, Belzec e Madjanek. Dopo la sconfitta della Germania hitleriana nel 1945, Eichmann fu catturato dagli americani. Tuttavia, in seguito riuscì a fuggire con una falsa identità. Prima si nascose in un piccolo villaggio della Bassa Sassonia, finché nel 1950 fuggì in Argentina con il suo nuovo nome: Ricardo Klement. Con la scusa di essere un rifugiato di guerra, riuscì ad ottenere un passaporto umanitario dal Comitato Internazionale della Croce Rossa e tutta la documentazione necessaria per entrare nel paese.

Alois Pompanin

Difatti, al pari di altri famigerati gerarchi nazisti, nel giugno 1948 anche Eichmann riuscì a procurarsi dei documenti di identità falsi dal vicario generale della Diocesi di Bressanone, Alois Pompanin (Cortina d’Ampezzo, 23 gennaio 1889 – Bressanone, 30 giugno 1966), figura controversa e inquietante, rilasciati dal comune altoatesino che asserivano la sua nascita in quella località intestati a tale Ricardo Klement originario di Termeno. Alois Pompanin, a quanto pare, stampò il passaporto a nome di tal Riccardo Klement. Mentre del viaggio, dei finanziamenti, la copertura delle spese ed il rifugio fino al giorno della partenza, furono di esclusiva pertinenza del vescovo Alois Hudal.  Da lì Eichamann raggiunse la capitale da dove poi si diresse a Genova trovando alloggio in un albergo che sorgeva al civico 9 di via Balbi.

Piroscafo della compagnia Costa Giovanna C

Il 17 giugno 1950 si imbarcò sul piroscafo della compagnia Costa Giovanna C. per trasferirsi in Argentina insieme a tale Pedro Geller nome di copertura assunto dal capitano delle SS Herbert Kuhlmann, comandante della divisione Panzer. I documenti erano stati rilasciati dalla sede della Delegaciòn Argentina de Inmigraciòn en Europa di Genova che allora era diretto da Carlo Fuldner, un ex ufficiale delle SS di origini tedesche nato in Argentina che si premurò dell’esfiltrazione in Argentina o in altri paesi sudamericani anche di altri criminali nazisti del calibro di Mengele e Barbie. Tra l’altro Fuldner si avvaleva anche della collaborazione di un ex sacerdote croato ex cappellano militare degli Ustascia, tale padre Carlo Dragutin Petranovic, che si occupò di mettere in salvo diversi criminali nazisti e ustascia. Il passaporto falso, invece, era stato fornito a Eichmann dalla Delegazione in Italia della Croce Rossa di Ginevra.

Carta d’identità rilasciata in Argentina a Ricardo Klement alias Adolf Eichmann

Ciò che non è mai stato pienamente conosciuto, e che è rimasto un film velato dalla storia, è il periodo trascorso nella periferia di La Plata, dove lavorava come allevatore di conigli. Era giunto ​​proveniente da Tucumán dopo il crollo della società CAPRI, una società idroelettrica fondata dal nazista Horts Carlos Fuldner, e insieme a sua moglie Vera ed i loro tre figli Klaus, Horst e Dieter avevano preso in affitto un appartamento ammobiliato nel quartiere di Olivos, in via Chacabuco. un altro suo compatriota che spesso sostenne la sua clandestinità e lo aiutò a non cadere in miseria fu il suo compagno Franz Wilhelm Pfeiffer, ex soldato decorato con la Croce di Ferro che allora aveva bisogno di qualcuno di cui fidarsi per gestire la sua nuova impresa di allevamento di conigli d’angora a Joaquín Gorina, una sconosciuta cittadina rurale nei pressi di La Plata. Per quasi due anni, dall’inizio del 1955 alla fine del 1956, Eichmann visse e lavorò sotto mentite spoglie nella fattoria di Joaquín Gorina. Il lavoro richiedeva trascorrere l’intera settimana lontano da casa, ma la paga ne valeva la pena: 4.500 pesos al mese, l’equivalente di 1.000 marchi tedeschi dell’epoca. Del resto era un lavoro che conosceva fin dai tempi in cui si trovava nella brughiera di Lüneburg alla fine del 1948, quando si faceva chiamare Otto Henninger e fingeva di essere un semplice contadino di quelle foreste della Germania settentrionale. Partiva il lunedì di buon mattino dalla stazione di Bartolomé Mitre per Avellaneda e, da lì, camminando inosservato, saliva sul treno che lo avrebbe lasciato prima di mezzogiorno alla stazione ferroviaria di Joaquín Gorina. Era un viaggio di meno di un’ora che ripeteva all’inverso il venerdì pomeriggio per trascorrere il fine settimana con la famiglia.

L’Obersturmbannführer (tenente colonnello) Eichmann era originariamente un membro del SD (Sicherheitsdienst o Servizio di sicurezza), e ha continuato a dirigere la Sezione IV B4 della Gestapo  (responsabile per gli affari ebraici) contribuendo a pianificare e attuare lo sterminio degli ebrei. Eichmann fu catturato alla fine di Seconda guerra mondiale dalle forze alleate, ma riuscì a fuggire dal campo di internamento dove fu confinato nel 1946. Il 2 maggio 1960, Eichmann fu arrestato da agenti segreti israeliani a Buenos Aires in Argentina, dove si era nascosto sotto falso nome, e riportato clandestinamente in Israele per essere processato per i suoi crimini.

Documenti d’identità falsi utilizzati da Adolf Eichmann mentre viveva in Argentina sotto il falso nome di Ricardo Klement

Fu catturato in Argentina l’11 maggio 1960 da quattro agenti segreti israeliani del Mossad, dove si era rifugiato dopo essere fuggito dalla Germania.

 La CIA fu colta di sorpresa dalla cattura da parte di agenti israeliani di alcuni criminali di guerra nazisti come Adolf Eichmann e, successivamente predispose un dossier su questa vicenda che rivelò ampi legami tra Eichmann e gli uomini che prestarono servizio come risorse e alleati della CIA quali Franz Alfred Six e Otto Von Bolschwing.

In cima a uno di questi elenchi di ufficiali affiliati compariva per l’appunto il nome di Otto Von Bolschwing [Doc 7, Vol. 2] il quale

era stato tutore di Eichmann sul sionismo e la politica del sionismo nella metà degli anni ’30 e poi suo alleato nel perseguitare gli ebrei d’Austria.

Nota 2

Dopo la guerra, Bolschwing fu impiegato prima nella famigerata organizzazione Gehlen e, successivamente, fu reclutato direttamente dalla CIA per il lavoro in Austria. Nonostante i suoi risultati poco lusinghieri, la CIA lo ricompensò per il suo servizio aiutandolo a ottenere l’ingresso e la cittadinanza negli Stati Uniti. Nel suo saggio sull’U.S. L’intelligence e i nazisti, il professore dell’Università della Virginia, lo storico Timothy Naftali descrive dettagliatamente lo stato d’animo seriamente preoccupato di Bolschwing dopo aver scoperto che Eichmann era stato catturato dagli agenti segreti israeliani. Naftali osserva che:

L’ufficiale dell’intelligence statunitense in pensione, che aveva solo una conoscenza superficiale della carriera effettiva di Bolschwing nelle SS, non riusciva a capire l’ansia del suo ex dipendente. era inconcepibile che gli israeliani cercassero di strappare Bolschwing sul suolo degli Stati Uniti – e così si rivolse a un conoscente dello Staff del controspionaggio della CIA per saperne di più su di lui. Una volta quando l’ex ufficiale ha visto i documenti tedeschi trovati in una fabbrica di siluri, era scosso, dicendo che né lui né altri avevano saputo del passato di Bolschwing, asserendo che “Non lo avremmo usato in quel momento se avessimo saputo questo”. Alcune delle cose che questo ufficiale dell’intelligence non ricordava lo sapevano altri nella CIA dal momento in cui Bolschwing fu assunto.

Timothy Naftali, CIA and Eichmann’s Associates, in U.S. Intelligence and the Nazis, (Washington, DC: National Archive Trust Fund Board, 2004), p. 343
Files del dossier su Adolf Eichmann Central Intelligence Agency Archives

Delle 1.449 pagine dei files della Central Intelligence Agency (CIA) riguardanti Adolf Eichmann, circa 1.135 sono disponibili redatti in lingua inglese e tedesca. Gran parte del materiale è stato rilasciato dalla CIA fino soltanto a partire dal 2006.

I documenti in questi file illustrano come la CIA e le sue agenzie precedenti (l’Office of Strategic Service e il Central Intelligence Group), così come il CIC dell’esercito, hanno indagato per scoprire dove si trovasse Eichmann, dando credito principalmente ad alcune dicerie e affermazioni che non fornivano alcuna prova effettiva. Difatti, la CIA iniziò a dare la caccia seriamente a Eichmann soltanto verso la fine del 1959, per cui furono sopresi dagli agenti israeliani che lo localizzarono prima in Argentina e poco dopo lo trasportarono in Israele per sottoporlo al processo.

I documenti, inoltre, rivelano che anche il governo della Germania Ovest si mostrò piuttosto cauto nel fornire informazioni dettagliate su Eichmann perché i funzionari temevano che avrebbe potuto rivelare che Hans Globke, allora in servizio come consigliere per la sicurezza nazionale del cancelliere Konrad Adenauer, era stato un ex funzionario del governo nazista.

Il dossier della CIA su Eichmann include una serie di rivelazioni dalle quai si evince che l’intelligence americana non sapeva dove si trovasse Eichmann prima della sua cattura, così come rimase sorpresa dall’operazione israeliana per trovarlo e consegnarlo alla giustizia. I documenti contenuti in questo file rivelano la sorpresa della CIA per la cattura di Eichmann in Argentina da parte degli agenti israeliani. Dopo che la notizia della sua cattura fu resa nota, il direttore della CIA immediatamente chiese agli agenti della CIA che avevano contatti col servizio d’intelligence israeliano, di raccogliere “tutti i dettagli possibili” su questa operazione. 

Del resto, i documenti successivi rivelano i tentativi della CIA di individuare fonti rilevanti nei vari documenti rinvenuti in Germania nel Centro documenti di Berlino e presso l’International Tracing Service.

Infine fu stilato dalla CIA in risposta al Nazi War Crimes Disclosure Act un dettagliato dossier su Eichmann di ben 289 documenti compilato dall’IWG sui crimini di guerra nazisti.

Alcuni dei punti salienti del dossier della CIA su Eichmann includono:

  • Documenti del 24 e 26 maggio 1960 che rivelano la sorpresa della CIA per la cattura di Eichmann, chiedendo maggiori dettagli alla controparte israeliana sull’operazione e offrendo aiuto nella fornitura di documenti di guerra nazisti rinvenuti (documenti 48 e 49, vol. 1) e un successivo documento del 15 giugno 1960 che fornisce dettagliatamente gli sforzi per localizzare il materiale rilevante dei documenti ritrovatiti (doc. 13, Vol 2);
  • Documenti dettagliati sulla cattura di Eichmann da parte israeliana, compresi i dettagli su come gli agenti israeliani riuscirono a determinare l’identità di Eichmann. Questo risultato fu raggiunto picchettando la sua abitazione in Argentina nel giorno del suo 25° anniversario, osservandolo quando tornò a casa con i fiori per celebrare questo evento con sua moglie. Si era risposato in un altro luogo con sua moglie sotto falso nome, e gli agenti ipotizzarono che la moglie non avrebbe celebrato la data originale in cui aveva sposato Eichmann. Un altro documento afferma che gli israeliani portarono anche un uomo che aveva lavorato in un kibbutz con Eichmann, che lo ha identificato coinvolgendolo in una conversazione. Nella conversazione, l’uomo intenzionalmente commise diversi errori sui loro incontri passati, ed Eichmann li corresse tutti. (Documenti 62 e 66 Vol 1, Documenti 85 e 108 Vol. 2);
  • I tentativi della CIA dopo la cattura di Eichmann di raccogliere maggiori informazioni sui nomi collegati a Eichmann (Documento 7 Vol. 2). Un memorandum della CIA rivela il timore che informazioni incriminanti su alcuni individui – tra cui Franz Alfred Six (un tenente colonnello delle SS e capo di Eichman dal 1936-39, e un capo sezione dell’organizzazione di intelligence Gehlen del dopoguerra – li avrebbe resi vulnerabili al reclutamento sovietico (Documento 23 Vol. 2);
  • Il 24 agosto 1962 un uomo che affermava di essere il figlio di Eichmann, si offrì di aiutare a catturare Josef Mengele in cambio di una nuova identità (Documento 72 Vol. 3).

Secondo la documentazione argentina Eichmann giunse nel paese latinoamericano il 14 luglio 1950 proveniente da Genova, grazie al passaporto n. 100940 rilasciato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa a tale Ricardo Klement. Il documento in questione era stato approvato dal Consolato Generale d’Argentina a Genova il 14 giugno di quello stesso anno. In seguito Eichmann ottenne a Tucuman finanche la Carta d’identità n. 341952, lavorando in quella provincia per la Compañía Argentina para Proyectos y Realizaciones Industriales (CAPRI) dal 1° ottobre 1950 al 30 aprile 1953. Successivamente, dopo il suo trasferimento nella provincia di Buenos Aires, ricevette la Carta d’identità n. 1.378.538 e si stabilì in un appartamento in Bernardo de Irigoyen 1053, Florida, nei pressi di via Santa Rosa 3366 come indicato anche da Carlota Jackisch, dove riuscì a trovare un altro lavoro nella fabbrica metallurgica Efeve gestita dal tedesco Franz Josef Viegener.

Falso documento d’identità rilasciato a Eichmann alias Ricardo Klement
Documento rilasciato dal Comitato della Croce Rossa Internazionale di Genova a Eichmann alias Ricardo Klement
Il passaporto

Visse in anonimato a Buenos Aires, lavorando come operaio in una fabbrica della Mercedes-Benz. La sua famiglia lo raggiunse nel 1952, ma mantenne un profilo basso, evitando contatti con la comunità tedesca locale. Eichmann scelse l’Argentina non a caso:

  • Le autorità argentine chiudevano spesso un occhio sulle identità false, soprattutto in un contesto di immigrazione postbellica caotica.
  • Il governo di Juan Perón (1946-1955) aveva politiche di accoglienza verso ex nazisti, visti come “anticomunisti”.
  • La comunità tedesca in Argentina era numerosa e ben integrata, offrendo una rete di supporto.

Operazione Garibaldi: l’arresto di Adolf Eichmann in Argentina

Adolf Eichmann arrivò in Argentina il 14 luglio 1950. Naturalmente, per motivi di sicurezza, si stabilì di volta in volta in un posto diverso, alloggiando in vari luoghi: all’inizio si stabilì in un hotel per immigrati nel quartiere di Buenos Aires di Palermo Viejo, poi decise di trasferirsi a Tucumán per lavorare in un’azienda tedesca, vivendo perfino nella periferia di La Plata.

Infine, stabilì la sua dimora con sua moglie ed i suoi quattro figli in una casa senza elettricità situata in Calle Garibaldi a San Fernando una località isolata a circa venti chilometri da Buenos Aires. A quel tempo, lavorava come manager in uno stabilimento automobilistico della Mercedes Benz.

Casa di Eichmann (Ricardo Klement) Calle Garibaldi in San Fernando, Buenos Aires, Argentina

Da tempo viveva tranquillamente in quel luogo non immaginando neanche lontanamente che il Mossad, il servizio segreto israeliano, da un po’ si era messo sulle sue tracce grazie all’indagine condotta da Simon Wiesenthal, un sopravvissuto all’Olocausto e celebre “celebre” dei nazisti sfuggiti alla cattura all’indomani della fine del Secondo conflitto mondiale.

Il primo a riconoscere la sua vera identità fu Lothar Hermann, un ebreo tedesco cieco che era arrivato in Argentina nel 1938 suo vicino di casa, e sua figlia Silvia, che aveva iniziato a frequentare il figlio maggiore dell’ex gerarca nazista Klaus.

Nei primi anni 1960, l’agente del Mossad Tzvi Aharoni fu inviato in Argentina per indagare se quell’uomo indicato da Lothar Hermann fosse davvero Adolf Eichmann. Lo seguì per diverse settimane, fino a quando riuscì a confermare i sospetti.

Di conseguenza fu predisposta una sofisticata missione segreta autorizzata direttamente dal primo ministro David Ben-Gurion – studiata fin nei minimi particolari – denominata in codice operazione Garibaldi che scattò l’11 maggio 1960. Dopo varie settimane di appostamenti, gli agenti segreti israeliani sapevano esattamente il percorso che avrebbe fatto Eichmann fino alla sua abitazione al ritorno dalla fabbrica Mercedes-Benz. Poco dopo le 20.05, appena scese dall’autobus nei pressi di calle Garibaldi fu acciuffato e condotto, dapprima in una casa per interrogarlo e controllare le sue cicatrici in modo da verificare la sua identità.

Dopodiché, verso la mezzanotte del 20 maggio successivo, fu trasferito in Israele grazie ad un medico israeliano del Mossad travestito da assistente di volo che aiutò a far salire clandestinamente Eichmann su un aereo.

Il processo ad Adolf Eichmann

Tra le tante persone che seguirono il processo ad Adolf Eichmann, c’era anche la filosofa di origini ebraiche Hannah Arendt, inviata dal settimanale “The New Yorker”. Nel 1933 era stata costretta ad abbandonare precipitosamente la Germania in seguito alla persecuzione antisemita sferrata dai nazisti e si era stabilita a Parigi finché nel 1951 ottenne la cittadinanza statunitense. Dopo aver assistito assiduamente al dibattimento ed all’escussione del teste, lo descriverà come “un uomo incapace di pensare” e “assolutamente incapace di distinguere il bene dal male” al punto da divenire l’incarnazione della banalità del male, una frase che passerà alla storia suscitando non poche controversie.

Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità. Aveva chiesto una bottiglia di vino rosso e ne aveva bevuto metà. Rifiutò l’assistenza dei pastore protestante, reverendo William Hull, che si era offerto di leggergli la Bibbia: ormai gli restavano appena due ore di vita, e perciò non aveva “tempo da perdere”. Percorse i cinquanta metri dalla sua cella alla stanza dell’esecuzione calmo e a testa alta, con le mani legate dietro la schiena. Quando le guardie gli legarono le caviglie e le ginocchia, chiese che non stringessero troppo le funi, in modo da poter restare in piedi. “Non ce n’è bisogno”, disse quando gli offersero il cappuccio nero. Era completamente padrone di sé, anzi qualcosa di più: era completamente se stesso. Nulla lo dimostra meglio della grottesca insulsaggine delle sue ultime parole. Cominciò col dire di essere un Gottgläubiger, il termine nazista per indicare chi non segue la religione cristiana e non crede nella vita dopo la morte. Ma poi aggiunse: “Tra breve, signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l’Argentina, viva l’Austria. Non le dimenticherò”. Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per l’orazione funebre. Sotto la forca la memoria gli giocò l’ultimo scherzo: egli si senti “esaltato” dimenticando che quello era il suo funerale.
Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.

Hannah Arendt, “La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme“, p. 259

Dopo un processo che attirò l’attenzione di un vasto pubblico e si celebrò a Gerusalemme a partire dall’11 aprile 1961, Eichmann il 15 dicembre di quello stesso anno fu ritenuto responsabile dello sterminio di milioni di ebrei e in virtù di questo capo d’accusa fu condannato a morte. Sarà giustiziato tramite impiccagione il 1° giugno del 1962 per crimini contro l’umanità, dopo che il 31 maggio Ben-Zvi respinse tutte le istanze di grazia presentate in suo favore. Il corpo dell’ex gerarca nazista fu cremato e le ceneri sparse nel Mediterraneo lontano dalle acque territoriali israeliane.

Dalla cella di un carcere israeliano, dove attende il processo imputato per aver orchestrato la deportazione di milioni di ebrei, racconta in prima persona come riuscì a svanire nel nulla dopo il 1945, sfuggendo alla giustizia per oltre un decennio. Si tratta di una testimonianza scioccante di prima persona, non filtrata da giornalisti o storici, quindi da prendere cum grano salis, in cui l’ex gerarca nazista descrive la sua fuga dopo il crollo della Germania nazista nel 1945. 

Secondo il documento, Eichmann racconta di aver evitato la cattura da parte degli Alleati nascondendosi in anonime fattorie nella Germania tra i rifugiati tedeschi, sfruttando la confusione del dopoguerra e una falsa identità da operaio, utilizzando falsi documenti sotto il nome di “Otto Henninger”. «Vivevo nel costante terrore di essere riconosciuto», scrive, «ma sapevo come sfruttare il caos del dopoguerra». La fuga proseguì verso l’Italia, dove, con l’aiuto di reti clandestine filo-naziste, ottenne un passaporto della Croce Rossa e nel 1950 fuggì in Argentina. Rivelazioni choc sono fornite finanche sul ruolo di ex SS e simpatizzanti che, tra Italia e Austria, lo aiutarono a raggiungere Genova e imbarcarsi per Buenos Aires nel 1950. La narrazione, tuttavia, omette dettagli cruciali. La sua vita in Argentina—dove lavorò in un’officina sotto il nome di Ricardo Klement—fu interrotta solo dal Mossad, che nel 1960 lo rapì per processarlo in Israele. Storici come Deborah Lipstadt sottolineano l’ironia: «Si dipinge come un fuggitivo solitario, ma la sua evasione fu possibile grazie a una rete globale che proteggeva i nazisti». Il racconto, tuttavia, stride con la realtà storica: Eichmann visse sotto mentite spoglie in Sud America fino al 1960, quando fu catturato dal Mossad israeliano in un’operazione segreta. Processato a Gerusalemme per crimini contro l’umanità, fu giustiziato nel 1962.

A questo punto chi scrive desidera mettere in guardia il lettore sulla natura manipolatoria del testo, considerato che, come si vedrà dal testo, Eichmann cercò sempre di minimizzare le sue colpe, dando la vaga impressione di scrivere questo resoconto come un ultimo tentativo di riscrivere la storia, trasformando un criminale in un sopravvissuto. Il documento, inevitabilmente, riapre delle ferite. Alcuni temono che dare spazio alle sue parole possa legittimare il revisionismo. «Non dobbiamo dimenticare che Eichmann era un bugiardo strategico», avverte il procuratore Gideon Hausner, che lo interrogò al processo. «Questo non è un diario, è un’ultima performance».

Per altri, invece, è un’occasione per esplorare le ombre del dopoguerra: «Le sue menzogne rivelano quanto il mondo fosse impreparato a perseguire i colpevoli», spiega la giornalista Gitta Sereny. «Oggi ci ricordano che l’impunità ha radici profonde». Tuttavia, per la ricerca storica, ogni frammento di verità, anche distorto, è un tassello per ricostruire l’eredità più oscura del Novecento. Ma a questo punto lasciamo la parola al protagonista che inizia il suo racconto partendo dal maggio del 1945.

“Il processo Eichmann – La banalità del male” (Film documentaristico (FRANCIA, 2011) che ricostruisce e interpreta le varie fasi del processo intentato da Israele contro Adolf Eichmann).
La confessione del diavolo – I nastri perduti di Eichmann
15 dicembre 1961: l’ex gerarca delle SS Adolf Eichmann viene condannato a morte (Eichmann trial – Session No. 1)

Questi ed altri particolari potrete trovarli descritti, con dovizia di particolari, nel volume 

“Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l’espatrio clandestino dei fascisti”.

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  1. Eichmann si riferiva ovviamente a Siegfried Uiberreither che, in realtà, era stato il gauleiter della Stiria. Era riuscito a fuggire da Dachau nel maggio 1947, prima di essere consegnato alla Jugoslavia insieme al vero Gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer. I giornali austriaci erano pieni di questa faccenda e presto emersero le ipotesi che Uiberreither fosse fuggito in Argentina. Alla fine degli anni ’40, un numero sorprendente di persone sapeva che i papaveri nazisti vivevano in Argentina. Nel maggio 1945, dopo che gli Alleati avevano invaso il Reich e Hitler era morto, Uiberreither fu arrestato a Murau dalle autorità britanniche e in seguito testimoniò come testimone della difesa al processo di Norimberga. Fu detenuto nell’ex campo di concentramento di Dachau, ma fuggì nel 1947 quando venne a conoscenza dei piani per consegnarlo alla Jugoslavia per essere processato. Ci sono state notizie non confermate che sia fuggito in Argentina. Si sa che alla fine visse con la sua famiglia a Sindelfingen sotto falso nome, Friedrich Schönharting. ↩︎
  2. Il generale delle SS Ramler, capo delle Armi teleguidate, che stava costruendo una diga idroelettrica per il governo di Peron a Tucumán. Tornò a Buenos Aires per lavorare come operaio e vivere in una periferia. ↩︎
  3. Wilhelmus Antonius Sassen (Geertruidenberg, il 16 aprile 1918 – morto nel 2002) è stato un collaborazionista olandese, giornalista nazista e membro delle Waffen-SS. Intorno al 1960 divenne noto come “l’intervistatore di Adolf Eichmann“. È cresciuto in una famiglia cattolica tradizionale del Brabante settentrionale e ha frequentato il ginnasio a Neerbosch vicino a Nimega e a Breda. Nel 1938, Sassen divenne una recluta dell’esercito olandese e fu addestrato come artigliere. Quando la Germania nazista invase i Paesi Bassi il 10 maggio 1940, Sassen era un membro del 7º reggimento di artiglieria da campo e fu fatto prigioniero dai tedeschi per un breve periodo. Sassen sposò Paula Fisette nel 1940 dalla quale in seguito divorziò. Il 22 giugno 1941, la Germania nazista invase l’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa) e Sassen si offrì volontario per il fronte orientale tedesco. Divenne membro del primo PK olandese (“Propaganda Kompanie”). Poiché lavorava per Radio Brema già da un po’ di tempo, poté iniziare il suo lavoro come corrispondente di guerra dopo una breve formazione. Era un SS-Kriegsberichterstatter (reporter di guerra delle SS) con la divisione SS Wiking nel settore meridionale del fronte e nella primavera del 1942 assistette all’offensiva nel Caucaso. Il 26 luglio 1942, Sassen fu ferito vicino a Rostov. Nell’aprile 1943 fu promosso SS-Unterscharführer e assegnato a una divisione corazzata delle SS vicino a Kharkov. Il 6 giugno 1944 (D-Day), Sassen era al fronte in Normandia riferendo le battaglie intorno a CaenBayeuxSaint-LôAvranchesFalaise e Lisieux. Il 5 giugno 1945, Sassen fu arrestato ad Alkmaar dalla British Field Security e internato a Fort Blauwkapel vicino a Utrecht. Il 15 dicembre riuscì a fuggire con altri due detenuti. Visitò prima la sua fidanzata Miep van der Voort a Utrecht, e poi il suo amico Anthony Mertens. Per due anni, Sassen si nascose ad Anversa, Bruxelles e Amsterdam. Con l’aiuto dei suoi amici, tra cui Mertens e l’ex membro delle SS Karl Breyer, Sassen riuscì a ottenere un passaporto. Nel maggio 1947 volò su un aereo KLM a Dublino, in Irlanda. Lì incontrò alcuni dei suoi vecchi soci, prima di partire per l’Argentina. Insieme alla sua ragazza, Miep van der Voort, alla loro figlia Saskia, e ad alcuni ex uomini delle SS e collaboratori, partì con la nave costiera The Eagle sotto il comando dell’ex capitano degli U-Boot Schneider per l’Argentina. Il 3 novembre arrivarono al porto della Darsena Norte di Buenos Aires. Tre giorni dopo fu permesso loro di sbarcare e stabilì la sua dimora in Lomas de San Isidro, Las Lomas 563 a Buenos Aires. Sposò Miep van der Voort, dalla quale ebbe due figlie. La loro figlia maggiore è Saskia Sassen (nata nel 1947 a L’Aia), una sociologa americana e professoressa di economia. La famiglia Sassen visse prima a Ciudad Jardín Lomas del Palomar, nella Grande Buenos Aires, dove nacque la loro seconda figlia. Sassen iniziò a lavorare come giornalista, traduttore e come ghost writer per Hans-Ulrich Rudel e successivamente per Adolf Eichmann. Intorno al 1960, Willem Sassen fu reclutato da Gerhard Mertins. Gli fu chiesto di rappresentare la Merex AG, che era una copertura per il commercio illegale di armi controllato dal servizio segreto tedesco Bundesnachrichtendienst. Altri rappresentanti in America Latina furono Klaus Barbie (Bolivia), Friedrich Schwend (Perù), suo fratello, Alfons Sassen (Ecuador) e, a Madrid Otto Skorzeny. Secondo quanto repertato dal tribunale israeliano mediante il Documento Sassen T/1392, si afferma che esso consta di circa settecento fogli fotocopiati, che pretendono di essere una trascrizione dattiloscritta di registrazioni su nastro fatte di conversazioni tenute per un periodo di quattro mesi nel 1957 tra l’imputato e un giornalista di nome Sassen, così come ottantatré pagine chiamate File n. 17, che sono fotocopie di appunti fatti nello stesso periodo dall’imputato nella sua calligrafia. (cfr. “Sessione 088-03, Eichmann Adolf”. 8 luglio 2020. URL consultato il 25 maggio 2025). Queste registrazioni furono effettuate nel 1957 da Willem Sassen a Buenos Aires dove Eichmann si nascondeva. Le memorie di Eichmann furono utilizzate come base per una serie di articoli apparsi sulle riviste Life e Stern alla fine del 1960. Le registrazioni audio di Eichmann che raccontano il suo ruolo nell’Olocausto sono state inserite nella serie di documentari The Devil’s Confession: The Lost Eichmann Tapes, diretta da Yariv Mozer e prodotta da Kobi Sitt. A un certo punto delle registrazioni, Eichmann dice: “Se avessimo ucciso 10,3 milioni di ebrei, direi con soddisfazione: ‘Bene, abbiamo distrutto un nemico’ – allora avremmo compiuto la nostra missione”..
    Inoltre, secondo un report dell’intelligence americana si apprende che “ALDOUBY possedeva copie fotografiche della confessione di EICHMANN al giornalista nazista olandese Willem SASSEN. Ma come aveva ottenuto queste copie? Riguardo a questo, ALDOUBY aveva una storia avvincente da raccontare. Disse di aver sentito da una corrispondente del settimanale tedesco DER STERN, che aveva pubblicato estratti dalle registrazioni di SASSEN, che quest’ultimo stava per arrivare a New York. ALDOUBY e Ephraim KATZ contattarono SASSEN nel suo hotel. Gli promisero la somma di 5.000 dollari in cambio dei diritti di pubblicazione delle Memorie di EICHMANN. Per dimostrare di avere il denaro, gli mostrarono un portafoglio pieno di banconote. SASSEN accettò l’accordo, ma i due dichiararono che dovevano prima verificare il contenuto delle Memorie. Fu concordato che i documenti sarebbero stati consegnati a un avvocato, e che entro cinque ore avrebbero deciso se fossero autentici.
    I documenti furono consegnati a un avvocato, che li fotografò tutti. Quando SASSEN tornò, ALDOUBY gli disse che non contenevano nulla di interessante. SASSEN prese i documenti, ma loro trattennero le fotografie. Quando Ephraim KATZ sentì questa versione dei fatti, rispose indignato: “È una completa e assoluta menzogna. Non ho mai visto SASSEN né sono mai andato con ALDOUBY. Io non sono un ladro.” La verità è che ALDOUBY probabilmente aveva fotografato i documenti dal settimanale tedesco DER STERN.
    Successivamente, ALDOUBY cercò di vendere le storie in ISRAELE. Firmò un contratto con il quotidiano serale YEDIOTH AHRONOTH, vendendo loro sette articoli sui nazisti per una cifra di IL2.500. Questi trattavano incontri con la presunta amante di EICHMANN, con il figlio di BORMANN, e il racconto di come la moglie di EICHMANN vendette le sue memorie a LIFE. Sebbene ALDOUBY avesse ricevuto l’intero pagamento, YEDIOTH AHRONOTH ne pubblicò solo tre, dopo aver scoperto che erano altamente dubbi. Per esempio, si sospettava che la storia dell’incontro con il figlio di BORMANN fosse stata presa da un giornale tedesco che l’aveva pubblicata anni prima” (Cfr. N.A.R.A., Declassified Records, Records of the Intelligence Agency (RG 263), CIA Records, Special Collection, Nazi War Crimes Disclosure Act, Degrelle Leon, Press Extracts on “Eichmann’s capture”, pagg. 1-2; [in rete], DEGRELLE, LEON_0002.pdf↩︎
  4. Non sembra proprio così come scrive nel suo memoriale Adolf Eichmann. Difatti, compulsando attentamente i documenti si evince chiaramente quanto segue: “Per la prima volta questa procedura fu utilizzata nel marzo 1938 dopo l’occupazione dell’Austria. Eichmann dell’SD ricevette l’ordine da Heydrich di creare un ufficio centrale per l’emigrazione ebraica. Il suo ufficio fu istituito presso il Palazzo Rothschild a Vienna. Da quel momento in poi, l’emigrazione degli ebrei divenne una produzione di massa pianificata. L’emigrazione aumentò vertiginosamente e fu limitata solo a causa delle quote imposte dai paesi che accettavano rifugiati dal regime di Hitler.
    Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, Eichmann fu inviato lì per organizzare la stessa procedura attuata in Austria. Il Hauptsturmführer Brunner prese in carico l’ufficio di Vienna, mentre lo “Zentralamt für die Lösung der Judenfrage Böhmen und Mähren” (Ufficio centrale per le questioni ebraiche in Boemia e Moravia) fu affidato allo Sturmbannführer Hans Günther.
    […]. In questo modo, il capo della polizia di sicurezza e dell’SD poteva gestire a propria discrezione l’enorme somma accumulata, che, secondo alcune fonti, ammontava a 300 milioni di marchi. Questo fu un risultato personale di Eichmann, che nel frattempo era diventato membro della RSHA, e quindi la RSHA si occupava sempre di più delle questioni e del trattamento degli ebrei.
    Nella RSHA, Eichmann prese in carico la sezione IV (Gestapo) sotto la direzione del Gruppenführer Müller, che era a capo del IV B4 (Ufficio per le questioni ebraiche). Dopo l’occupazione della Polonia, altri quattro milioni di ebrei finirono sotto il controllo della Germania, creando un nuovo problema da gestire.
    Su ordine personale di Hitler, nuove regolamentazioni e leggi riguardanti gli ebrei furono introdotte. Hitler trasferì le decisioni su tali questioni al capo della SIPO e dell’SD. Eichmann divenne consigliere personale e il Ministero degli Interni del Reich, che normalmente si occupava delle leggi, non ebbe alcun potere in merito” (cfr. Cfr. N.A.R.A., Declassified Records, CIA Records, Special Collection, Nazi War Crimes Disclosure Act, Adolf Eichmann, Vol. 1, https://www.cia.gov/readingroom/docs/EICHMANN%2C%20ADOLF%20%20%20VOL.%201_0046.pdf).
    Nell’estate del 1941, il comandante del campo di concentramento di Auschwitz, Rudolf Höß, fu improvvisamente convocato a Berlino, dove lo accolse Heinrich Himmler. Höß ricevette l’ordine di portare avanti la più grande operazione di sterminio di massa che l’umanità avesse mai visto:
    “Il Führer ha ordinato la Soluzione Finale della Questione Ebraica, e noi – le SS – dobbiamo eseguire questo ordine… Ho scelto Auschwitz per questo compito, prima di tutto per la sua posizione strategica favorevole ai trasporti e, in secondo luogo, perché l’area designata può essere facilmente isolata e occultata… I dettagli verranno forniti dal Sturmbannführer Eichmann dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich, che verrà da voi a breve.”
    E così arrivò Adolf Eichmann, il funzionario incaricato della “Soluzione Finale”. Ad Auschwitz, lui e Höß idearono i piani di sterminio. Per prima cosa, decisero di rendere “judenfrei” i campi di concentramento esistenti. Poi si sarebbero occupati dei territori occupati, inclusi Cecoslovacchia, Francia, Belgio e Paesi Bassi. Fu discusso anche il metodo di esecuzione, e si convenne che “solo il gas era adeguato, perché altri metodi sarebbero stati semplicemente impossibili”, come riportò Höß in seguito. Si tratta di un documento storico che descrive il coinvolgimento diretto di Eichmann e Höß nella pianificazione e attuazione dell’Olocausto. In questo contesto il termine “evacuazione” è un eufemismo adoperato dalle autorità naziste per indicare la deportazione forzata degli ebrei verso l’Est, in particolare verso i campi di concentramento e sterminio situati in Polonia. Il linguaggio burocratico impiegato nasconde la realtà brutale di queste operazioni, che avevano come obiettivo lo sterminio sistematico della popolazione ebraica. La firma in calce a questo documento di Adolf Eichmann, responsabile della logistica della “Soluzione Finale”, testimonia al di là di ogni ragionevole dubbio la sua partecipazione a questo dissennato e criminale piano elaborato da Hitler e dai suoi sodali in camicia nera. L’uso di termini come “evacuazione” era parte di una strategia per minimizzare la percezione esterna della violenza e per garantire il funzionamento organizzato di queste operazioni senza suscitare resistenze o allarmi. Questo documento “urgente” e top secret, che reca la data del 3 giugno 1942, ha per oggetto proprio l’“Evacuazione degli ebrei verso l’Est” in virtù del Decreto PS del 21 maggio 1942, IV B 4 a 2093/42. Ecco cosa scriveva dal suo ufficio di Berlino Adolf Eichmann agli Uffici della Polizia di Düsseldorf, Coblenza, Colonia e Aquisgrana:
    “Per trasportare verso Est gli ebrei ancora idonei all’evacuazione, è stata concordata con la Reichsbahn la disponibilità di un treno speciale D A 22 il 15 giugno 1942 che sarebbe partito il 15 giugno 1942 da Coblenza per Izbiza, nei pressi di Lublino. Questo trasporto coinvolgerà:
    Stazione di Polizia di Coblenza: 450 ebrei, inclusi individui con disabilità mentale provenienti dall’ospedale psichiatrico di Berdorf am Rhein.
    Stazione di Polizia di Aachen (Aquisgrana): 144 ebrei.
    Colonia: 318 ebrei.
    Düsseldorf: 154 ebrei.
    Il treno speciale D A 22 potrà ospitare eccezionalmente oltre 1000 ebrei. Il convoglio partirà il 15 giugno 1942 alle 02:08 da Coblenza-Lützel, facendo tappa a Colonia alle 03:50 e a Düsseldorf Hauptbahnhof alle 05:00. Gli ebrei di Aquisgrana dovranno essere trasferiti a Colonia con treni ordinari in collaborazione con la Direzione Ferroviaria di Colonia per l’imbarco.
    La squadra di scorta sarà fornita dalla Stazione di Polizia di Stato di Colonia, mentre la comunicazione della partenza sarà gestita dalla Stazione di Polizia di Stato di Düsseldorf. I moduli e gli inventari patrimoniali richiesti verranno inviati successivamente”
    (cfr. Cfr. N.A.R.A., Declassified Records, CIA Records, Special Collection, Nazi War Crimes Disclosure Act, Adolf Eichmann, Vol. 1, https://www.cia.gov/readingroom/docs/EICHMANN%2C%20ADOLF%20%20%20VOL.%201_0035.pdf ).
    Inoltre, in un altro rapporto del 31 gennaio 1942 stilato da Eichmann, apprendiamo:
    “La recente evacuazione degli ebrei in alcune zone dell’Est rappresenta l’inizio della soluzione finale della questione ebraica nel Vecchio Reich, nell’Ostmark e nel Protettorato di Boemia e Moravia.
    Queste misure di evacuazione sono inizialmente di particolare urgenza, quindi solo un numero limitato di partecipanti può essere coinvolto a causa delle difficoltà di trasporto e delle limitazioni di capacità.
    Attualmente si stanno cercando nuove possibilità di accoglienza con l’obiettivo di deportare ulteriori gruppi di ebrei dal Reich, dall’Ostmark e dal Protettorato di Boemia e Moravia. La pianificazione e preparazione di queste nuove operazioni di evacuazione richiede inizialmente un’attenta verifica degli ebrei ancora residenti nel territorio del Reich, sulla base dei seguenti criteri conformi alle direttive per l’evacuazione”

    (cfr. Cfr. N.A.R.A., Declassified Records, CIA Records, Special Collection, Nazi War Crimes Disclosure Act, Adolf Eichmann, Vol. 1, https://www.cia.gov/readingroom/docs/EICHMANN%2C%20ADOLF%20%20%20VOL.%201_0031.pdf). ↩︎

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