Nato a San Severo (FG) Il 3 marzo 1962, romano di adozione.
Professore Associato di Storia della Diplomazia e delle Relazioni internazionali presso l’Università degli Studi del Molise.
Delegato per le Relazioni Internazionali ed ERASMUS PLUS del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi del Molise.
Consulente parlamentare.
Delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l'International Commitee for the History of the Second World War, The Hague.
PARTECIPAZIONE A COMITATI SCIENTIFICI
Membro del Comitato di referaggio della “Nuova Rivista Storica” (2017 a oggi)
Membro del Comitato scientifico della collana storica delle “Edizioni dell’Orso”
Membro del Comitato scientifico della Rivista “Res Publica” della LUMSA
Delegato internazionale del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l’International Committee for the History of the Second World War
Membro del CIMA (Machiavelli Inter-University Centre for Studies on the Cold War) di Firenze, dir. Ennio Di Nolfo, Leopoldo Nuti
Membro del Collegio di Dottorato del Ricerca in Innovazione e Gestione delle Risorse Pubbliche, Università degli Studi del Molise (2006 ad oggi)
Membri del Comitato Scientifico del Dictionnaire de la Diplomatie du Saint-Siège, Paris CNRF-Université de Paris IV-“Sorbonne”.
1 Oggi “La Lettura”, il settimanale culturale del “Corriere della Sera” pubblica un’intervista a Giovanni Coco, archivista di Santa Madre Chiesa, esattamente in forze all’Archivio Apostolico Vaticano, presentando un documento inedito sui campi di sterminio all’est. Si tratta di una lettera drammatica inviata dal gesuita Lothar König al confratello Robert Leiber, segretario di Pio XII.
Il “Corriere della Sera”, nella pagina culturale di ieri, aveva anticipato la notizia sull’inedito. Oggi Coco ne riferisce al “domenicale” del “Corriere”
«Questa è una lettera inedita, scritta da un gesuita tedesco antinazista, Lothar König. Contiene un allegato con una statistica di sacerdoti detenuti nei campi di concentramento fatti costruire da Adolf Hitler. Ma soprattutto parla di Auschwitz e di Dachau. E riporta da fonti credibili notizie secondo le quali ogni giorno circa seimila tra ebrei e polacchi venivano uccisi “negli altiforni” del Lager di Belzec, vicino al confine ucraino. È datata 14 dicembre 1942…».
La lettera del 14 dicembre 1942
2. Quale il valore di questa lettera di König a Leiber?
«Enorme, credo – osserva Coco – . È un caso unico, perché rappresenta la sola testimonianza di una corrispondenza che doveva essere nutrita e prolungata nel tempo. Si capisce dalla familiarità con la quale Lothar König si rivolge in tedesco a padre Robert Leiber, segretario di Pio XII», chiamandolo «caro amico».
Va tenuto presente che König era un grande antinazista. Ma i documenti da noi consultati ci svelano che lo era anche il padre Leiber. Era dunque una corrispondenza tra due antinazisti che si fidavano l’uno dell’altro. Il che significa che padre Leiber e Pio XII sapevano benissimo del “Kreisau Kreis”, il circolo di cui König faceva parte: «Una rete della resistenza tedesca composta da cattolici e protestanti, la cui intelligence era in grado di fare arrivare a Roma le notizie più riservate sui crimini hitleriani».
3. Queste notizie ricevute dal Papa andavano diffuse al mondo? Andava aperta la loggia su piazza San Pietro per denunciare, in piena Shoah (nel 1942 con mezza Europa sotto il tallone hitleriano), i crimini di Hitler che nel frattempo teneva in ostaggio così tanti innocenti. No.
Il padre König, infatti, sconsigliava fortemente un tale passo, raccomandando al confratello Leiber (citiamo Coco)
«di usare quelle informazioni con la massima cautela, senza dire una sola parola che potesse tradire le fonti. König temeva una fuga di notizie dal Vaticano, oppure che la lettera potesse essere scoperta in caso di un’irruzione nazista».
Cautela, dunque, prudenza, non chiasso, non denuncia plateale. Erano questi anche gli ingredienti del “Circolo di Kreisau”, poi accusato per il fallito attentato a Hitler. König, che faceva parte di quel circolo, dovette fuggire perché ricercato. Ecco perché la raccomandazione del gesuita al segretario di Pio XII «era un invito al silenzio per non bruciare la rete della resistenza tedesca al nazismo».
Ecco le parole dello stesso padre König:
«I numeri sono ufficiali…C’è anche un rapporto di vari testimoni […]. Entrambi gli allegati sono stati ottenuti con il massimo rischio. Non solo è a rischio la mia testa, ma anche la testa degli altri se non vengono usati con la massima prudenza e cura…».
4. Grazie al documento da lui scoperto, dice Coco,
«stavolta si ha la certezza che dalla chiesa cattolica tedesca arrivavano a Pio XII notizie esatte e dettagliate sui crimini che si stavano perpetrando contro gli ebrei. Si parla del Lager di Belzec, non lontano dalla cittadina ucraina di Rava-Rus’ka dove tra il 5 e l’11 dicembre 1942 erano stati fucilati più di cinquemila ebrei. “Le ultime informazioni su Rawa-Russka con il suo altoforno delle SS, dove ogni giorno muoiono fino a 6000 uomini, soprattutto polacchi e ebrei, le ho trovate confermate da altre fonti…”, scrive König. Ma nella lettera si accenna anche a un altro rapporto che non conosciamo ancora, riferito ad Auschwitz».
Coco sa benissimo (e lo ammette onestamente) che la sua scoperta non rappresenta proprio una novità. Per Coco la vera novità sta nel fatto che, in quel dicembre 1942, in Vaticano giunsero notizie «esatte e dettagliate» sui crimini nazisti. Ora, quest’affermazione sull’esattezza delle notizie va temperata con quello che pensavano le organizzazioni ebraiche e gli alleati.
5. Accertare le fonti era il cruccio di tutte le organizzazioni antinaziste. Il giurista Paul Guggenheim, che dirigeva la sede ginevrina del Congresso Mondiale Ebraico, bloccò le notizie sui campi di sterminio che il suo subordinato Gerhart Riegner stava per diffondere al mondo. Gli chiese infatti dapprima di cancellare la menzione dei grandi forni crematori, e poi di aggiungere (in quella che è la seconda parte del dispaccio, come noi oggi la conosciamo) una nota di cautela circa la non verificabilità delle fonti.
Gli archivi inglesi ci informano che a fine ottobre 1942 Guggenheim si recò al consolato americano a Ginevra per riferire le notizie che aveva ricevuto.
Lasciamo parlare il console americano:
«L’informatore del Professor Guggenheim conferma che per tutte le cattive notizie recate dal Dott. Gerhart Riegner, Segretario del Congresso Ebraico Mondiale a Ginevra, e dal signor Lichtheim, dell’Agenzia ebraica per la Palestina di Ginevra, concernenti la situazione ebraica in Lettonia, salvo che per quelle riguardanti i dettagli dell’assassinio degli ebrei e il numero degli uccisi, ci sono numerose divergenze in vari rapporti. È solo nell’essenziale che questi rapporti sono unanimi».
Ovviamente, nessuna menzione dei forni crematori.
6. La documentazione esistente ci informa del fatto che la dichiarazione interalleata del 17 dicembre 1942 contro i crimini nazisti fu fatta solo dietro forte insistenza dei circoli ebraici internazionali presso Roosevelt, cui era stato rilasciato, l’8 dicembre 1942, un importante memorandum sulla tragedia ebraica. Notiamo la contemporaneità fra questi eventi e la data del documento illustrato da Coco.
Alla dichiarazione interalleata seguirono fatti concreti? No, dato che la priorità non era bombardare le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz, ma sconfiggere la Germania sul campo. Ma con tutto ciò, gli alleati ritenevano ritenevano affidabili le notizie provenienti dai Lager?
Ce lo dice un altro sconcertante episodio.
7. Nel 1943 Stati Uniti e Gran Bretagna volevano pubblicare una nuova dichiarazione sui crimini di guerra tedeschi in Polonia. Essa fu diramata il 30 agosto 1943 e pubblicata nella raccolta ufficiale del Dipartimento di Stato americano. Ebbene: un paragrafo di quella dichiarazione avrebbe dovuto menzionare i forni crematori, ma poi fu eliminato. Perché? Lasciamo parlare le carte americane.
«Su suggerimento del Governo britannico, che afferma non esserci prove sufficienti per giustificare una dichiarazione circa l’esecuzione nelle camere a gas, è stato concordato di eliminare l’ultima frase del paragrafo secondo della Dichiarazione sui crimini tedeschi in Polonia da “dove” a “camere a gas”, così lasciando terminare il secondo paragrafo con «campi di concentramento».
Quando si dice “il silenzio sulle camere a gas”…
7. Bene dunque la massima “democrazia archivistica” su Pio XII, ma attenzione a non lasciarsi prendere dalla “sindrome delle novità”. Per esempio, le tragiche notizie provenienti da Rawa-Russkaja non erano una novità. Ne parlava in prima pagina il “Jewish Post” già il 1° febbraio 1943; e non è il solo esempio.
8. A mo’ di post-scriptum. Notiamo del veleno in coda all’articolo della “Lettura”.
In merito al ritardo con cui certe carte vengono alla luce, Coco osserva:
«Probabilmente chi ha maneggiato quei documenti prima di noi non ha capito l’importanza del contenuto. Sa, nel passato non sempre gli archivi venivano visti come una priorità in alcuni uffici del Vaticano. E non sempre nel passato — fuori da qui — gli archivisti sono stati selezionati con occhio per la loro professionalità».
«Fuori da qui» è un inciso che fa capire che secondo Coco la perfetta professionalità archivistica alberga solo presso l’Archivio Apostolico Vaticano?
Che ci sia altissima professionalità in questo archivio, è fuor di dubbio. È dunque negli altri archivi vaticani che Coco lamenta mancanza di professionalità? E, per esperienza diretta anche degli altri archivi, su quali basi lo afferma?
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IL SILENZIO DI PIO XII ALLA LUCE DI NUOVE SCOPERTE
Note su un articolo del settimanale culturale “La Lettura” del Corriere della Sera.
Matteo Luigi Napolitano
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1 Oggi “La Lettura”, il settimanale culturale del “Corriere della Sera” pubblica un’intervista a Giovanni Coco, archivista di Santa Madre Chiesa, esattamente in forze all’Archivio Apostolico Vaticano, presentando un documento inedito sui campi di sterminio all’est. Si tratta di una lettera drammatica inviata dal gesuita Lothar König al confratello Robert Leiber, segretario di Pio XII.
Il “Corriere della Sera”, nella pagina culturale di ieri, aveva anticipato la notizia sull’inedito. Oggi Coco ne riferisce al “domenicale” del “Corriere”
2. Quale il valore di questa lettera di König a Leiber?
Va tenuto presente che König era un grande antinazista. Ma i documenti da noi consultati ci svelano che lo era anche il padre Leiber. Era dunque una corrispondenza tra due antinazisti che si fidavano l’uno dell’altro. Il che significa che padre Leiber e Pio XII sapevano benissimo del “Kreisau Kreis”, il circolo di cui König faceva parte: «Una rete della resistenza tedesca composta da cattolici e protestanti, la cui intelligence era in grado di fare arrivare a Roma le notizie più riservate sui crimini hitleriani».
3. Queste notizie ricevute dal Papa andavano diffuse al mondo? Andava aperta la loggia su piazza San Pietro per denunciare, in piena Shoah (nel 1942 con mezza Europa sotto il tallone hitleriano), i crimini di Hitler che nel frattempo teneva in ostaggio così tanti innocenti. No.
Il padre König, infatti, sconsigliava fortemente un tale passo, raccomandando al confratello Leiber (citiamo Coco)
Cautela, dunque, prudenza, non chiasso, non denuncia plateale. Erano questi anche gli ingredienti del “Circolo di Kreisau”, poi accusato per il fallito attentato a Hitler. König, che faceva parte di quel circolo, dovette fuggire perché ricercato. Ecco perché la raccomandazione del gesuita al segretario di Pio XII «era un invito al silenzio per non bruciare la rete della resistenza tedesca al nazismo».
Ecco le parole dello stesso padre König:
4. Grazie al documento da lui scoperto, dice Coco,
Coco sa benissimo (e lo ammette onestamente) che la sua scoperta non rappresenta proprio una novità. Per Coco la vera novità sta nel fatto che, in quel dicembre 1942, in Vaticano giunsero notizie «esatte e dettagliate» sui crimini nazisti. Ora, quest’affermazione sull’esattezza delle notizie va temperata con quello che pensavano le organizzazioni ebraiche e gli alleati.
5. Accertare le fonti era il cruccio di tutte le organizzazioni antinaziste. Il giurista Paul Guggenheim, che dirigeva la sede ginevrina del Congresso Mondiale Ebraico, bloccò le notizie sui campi di sterminio che il suo subordinato Gerhart Riegner stava per diffondere al mondo. Gli chiese infatti dapprima di cancellare la menzione dei grandi forni crematori, e poi di aggiungere (in quella che è la seconda parte del dispaccio, come noi oggi la conosciamo) una nota di cautela circa la non verificabilità delle fonti.
Gli archivi inglesi ci informano che a fine ottobre 1942 Guggenheim si recò al consolato americano a Ginevra per riferire le notizie che aveva ricevuto.
Lasciamo parlare il console americano:
Ovviamente, nessuna menzione dei forni crematori.
6. La documentazione esistente ci informa del fatto che la dichiarazione interalleata del 17 dicembre 1942 contro i crimini nazisti fu fatta solo dietro forte insistenza dei circoli ebraici internazionali presso Roosevelt, cui era stato rilasciato, l’8 dicembre 1942, un importante memorandum sulla tragedia ebraica. Notiamo la contemporaneità fra questi eventi e la data del documento illustrato da Coco.
Alla dichiarazione interalleata seguirono fatti concreti? No, dato che la priorità non era bombardare le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz, ma sconfiggere la Germania sul campo. Ma con tutto ciò, gli alleati ritenevano ritenevano affidabili le notizie provenienti dai Lager?
Ce lo dice un altro sconcertante episodio.
7. Nel 1943 Stati Uniti e Gran Bretagna volevano pubblicare una nuova dichiarazione sui crimini di guerra tedeschi in Polonia. Essa fu diramata il 30 agosto 1943 e pubblicata nella raccolta ufficiale del Dipartimento di Stato americano. Ebbene: un paragrafo di quella dichiarazione avrebbe dovuto menzionare i forni crematori, ma poi fu eliminato. Perché? Lasciamo parlare le carte americane.
Quando si dice “il silenzio sulle camere a gas”…
7. Bene dunque la massima “democrazia archivistica” su Pio XII, ma attenzione a non lasciarsi prendere dalla “sindrome delle novità”. Per esempio, le tragiche notizie provenienti da Rawa-Russkaja non erano una novità. Ne parlava in prima pagina il “Jewish Post” già il 1° febbraio 1943; e non è il solo esempio.
8. A mo’ di post-scriptum. Notiamo del veleno in coda all’articolo della “Lettura”.
In merito al ritardo con cui certe carte vengono alla luce, Coco osserva:
«Fuori da qui» è un inciso che fa capire che secondo Coco la perfetta professionalità archivistica alberga solo presso l’Archivio Apostolico Vaticano?
Che ci sia altissima professionalità in questo archivio, è fuor di dubbio. È dunque negli altri archivi vaticani che Coco lamenta mancanza di professionalità? E, per esperienza diretta anche degli altri archivi, su quali basi lo afferma?
© Matteo Luigi Napolitano, 2023
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