Ebrei nascosti in convento “nel nome del Santo Padre”
“La Rev.da Madre [Manuela Vicente] e stata chiamata in Vaticano (…) alla Segreteria di Stato dove S. E. Mons. Montini l’ha pregata, in nome del Santo Padre, di alloggiare tre famiglie minacciate, come molte altre, di essere prese dai tedeschi”.
Giovanni Preziosi nasce 54 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea.
Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”.
Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico.
Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) e “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (SECONDA EDIZIONE - Independent Publishing, maggio 2022) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.
Aspettando con comprensibile interesse misto ad un pizzico di curiosità i risultati degli studi sulle carte sul pontificato di Pio XII, dopo l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano avvenuta, com’è noto il 2 marzo 2020, ripropongo un mio breve saggio pubblicato in un circostanziato articolo l’11 maggio 2011 nella pagine culturali del giornale ufficiale della Santa Sede “L’Osservatore Romano”, ripreso anche da varie testate e agenzie di stampa, dal titolo: “Quelle famiglie ebree che Pio XII fece nascondere in monastero”, frutto di una meticolosa ricerca condotta alcuni anni or sono nell’Archivio nell’Archivio Generale della Società del Sacro Cuore, un istituto di diritto pontificio che ancora oggi sorge sul Gianicolo.
Nel corso di questa mia ricerca, infatti, ho avuto modo di rinvenire dei documenti assolutamente inediti, che ritengo possano contribuire a far luce sui presunti “silenzi” di Pio XII in merito alla Shoah e fornire un’ulteriore chiave di lettura su questa vexata quaestio per scrivere finalmente la parola fine su questa vicenda, per certi aspetti alquanto capziosa e frutto di condizionamenti ideologici cui ritengo che uno storico farebbe bene a tenersi lontano facendo parlare piuttosto i documenti e mantenendosi il più possibile au-dessus de la mélée.
Buona lettura a tutti!
La storia che stiamo per raccontare ha inizio nell’autunno del 1943, proprio mentre al di là del Tevere, tra le mura vaticane, si stava valutando nei minimi particolari la questione relativa ai rifugiati nelle strutture extraterritoriali con l’ausilio del penitenziere di San Pietro Aquilino Reichert, cappuccino. Attraverso una paziente e minuziosa spigolatura nell’Archivio Generale della Società del Sacro Cuore — un istituto di diritto pontificio sul Gianicolo, fondato agli inizi del 1800 da Madeleine-Sophie Barat — chi scrive ha rinvenuto dei documenti rimasti finora nascosti: si tratta del Giornale della Casa «Villa Lante» nel quale le religiose annotavano tutti gli avvenimenti che di giorno in giorno riguardavano l’istituto, a quel tempo sotto la guida spirituale della superiora generale di origini ispaniche Manuela Vicente, donna determinata e dotata di grande fede, coadiuvata dalla madre vicaria Giulia Datti. Le due suore si occuparono degli aspetti logistico-organizzativi per facilitare l’ospitalità ai rifugiati ebrei e a molti altri antifascisti. Insieme alle consorelle non solo non si sottrassero al delicato compito che il Papa aveva affidato loro, ma riuscirono a creare un clima sereno e familiare con quanti varcavano la soglia della Casa per cercare rifugio.
In effetti i rapporti idilliaci tra Pio XII e questa congregazione religiosa risalivano agli anni Trenta quando all’allora cardinale Pacelli era stato affidato il ruolo di protettore della Società del Sacro Cuore e, in seguito, si erano consolidati con madreManuela Vicente (21 novembre 1928 – 21 gennaio 1946), alla quale il Papa pensò di rivolgersi proprio allo scopo di trovare ricovero per alcuni perseguitati di religione ebraica che correvano il rischio di essere deportati. Mentre in Germania Hitler e il suo stato maggiore stavano pianificando lo sterminio degli ebrei e il pericolo delle deportazioni incalzava, suor Maria Teresa Gonzáles de Castejón nel chiuso della sua cella annotava nel suo diario:
Di conseguenza, il 6 ottobre del 1943, apprendiamo dal Giornale della Casa “Villa Lante” un particolare interessante:
In effetti, bisogna rilevare che in quel periodo la madre Manuela Vicente era molto malata, al punto che era stata nominata vicaria la madre Giulia Datti. Come si evince dal libro sulla Società del Sacro Cuore di Monique Luirard la madre Vicente già dal 1942 non era in grado di lasciare la sua stanza. Pertanto, la “madre” si recò alla Casa Madre a chiedere “i permessi”, è più probabile che fosse proprio la superiora di Villa Lante, la madre Saladini.
Dai documenti degli archivi dell’Office of Strategic Service declassificati alcuni anni or sono in seguito al Nazi War Crimes Disclosure Act, risulta che le forze alleate, proprio dal 6 ottobre 1943, mediante il cablogramma numero 19 contrassegnato dalla dicitura “Personale. Per il Fuhrer e il ministro del Reich”, erano al corrente del dispaccio segreto con il quale Hitler aveva pianificato il destino degli ottomila ebrei romani, ordinandone la deportazione nei campi di sterminio tedeschi per essere definitivamente “liquidati”.
Inoltre l’11 ottobre successivo da un messaggio radio criptato, inviato dal capo dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del ReichErnst Kaltenbrunner a Herbert Kappler, si apprendeva che
Era questo soltanto il preludio all’ignominioso rastrellamento del ghetto ebraico di Roma che sarebbe scattato pochi giorni dopo, il 16 ottobre 1943. Dunque, come si evince in modo chiaro da questi documenti, gli alleati erano perfettamente al corrente, e con ben dieci giorni d’anticipo, del piano scellerato che i tedeschi stavano per mettere in atto. Occorreva dunque far presto e, pertanto, non sembra del tutto azzardato ipotizzare che, attraverso qualche canale diplomatico, anche l’entourage vaticano fosse venuto a conoscenza di questa notizia.
D’altronde non si spiega diversamente la sollecitudine con cui Pio XII, tramite monsignor Giovanni Battista Montini, aveva esortato la superiora generale della Società del Sacro Cuore Manuela Vicente ad allestire adeguati rifugi presso le proprie case religiose allo scopo di dare asilo agli ebrei perseguitati. A quel punto, dunque, la Santa Sede si vide chiamata in causa e ritenne giunto il momento di spalancare le porte di tutte le case e gli istituti religiosi romani per offrire asilo e protezione ai tanti ebrei che correvano seri pericoli di vita, cercando di non dare troppo nell’occhio e continuare nel più stretto riserbo quest’opera di assistenza e ospitalità clandestina nelle varie strutture ecclesiastiche dell’Urbe e del resto d’Italia. È tuttavia interessante rilevare la scansione cronologica di questi avvenimenti che coincidono sorprendentemente con la circolare vaticana del 25 ottobre 1943, rivelata dall’attuale segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, in cui si ≪forniva l’orientamento di ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, di aprire gli istituti e anche le catacombe≫.
Ciò, d’altronde, si evince anche dalla documentazione archivistica delle suore della Società del Sacro Cuore di Gesù, laddove si legge, in una nota autografa che reca la data dell’11 ottobre 1943:
Per scongiurare il pericolo delle improvvise perquisizioni nazifasciste all’interno degli ambienti ecclesiastici, la Santa Sede fece pervenire a tutti i superiori dei conventi romani un avviso firmato dal governatore militare di Roma Rainer Stahel, scritto in italiano e tedesco, da far affiggere sulle porte d’ingresso di tutti gli istituti religiosi, in cui si dichiarava esplicitamente che l’edificio era sotto le dirette dipendenze della Città del Vaticano e, pertanto, venivano interdette perquisizioni o requisizioni d’ogni genere. A distanza di pochi giorni, per la precisione il 25 ottobre 1943, come abbiamo avuto modo di accennare, la Segreteria di Stato provvide a inviare una circolare con la quale impartiva precise disposizioni esortando, tra l’altro, i superiori dei vari ordini a ritirare dalla porta dei propri edifici di culto questo avviso, prestando tuttavia attenzione a conservarli accanto all’ingresso nell’eventualità che potessero ritornare utili in caso di un’improvvisa perquisizione.
In effetti questo documento sembra fosse pronto almeno fin dal 12 ottobre 1943, come si evince da quanto annotato meticolosamente dalle religiose del Sacro Cuore di Gesù nel diario della loro Casa di Villa Lante, che scrivono quanto segue:
A suffragare ulteriormente la tesi dell’azione ≪silenziosa≫ svolta da Papa Pacelli per trarre in salvo il maggior numero possibile di ebrei, scrive più in la nel suo diario madre Maria Teresa Gonzáles de Castejón:
Tuttavia l’improvvisa irruzione dei soldati nazisti si rivelò fatale per il signor Sonnino che stava ancora smaltendo i postumi di un’altra grave crisi cardiaca che aveva accusato qualche mese prima.
E conclude tirando un sospiro di sollievo: ≪Hanno guardato senza far niente”. A quel punto, pero, le suore furono prese di soprassalto perché incominciavano a nutrire serio timore per le sorti della signora Sonnino e della sua figlioletta, al punto che subito corse voce tra di loro che ≪bisogna[va] avvertirle per metterle al sicuro da qualsiasi pericolo che incombeva su di loro≫.
Nel frattempo, alla fine di ottobre, le pensionanti continuavano ad aumentare raggiungendo le trentotto unita. La
Le richieste di ospitalità, considerati i tempi, naturalmente non accennavano a diminuire neanche presso le altre case delle religiose del Sacro Cuore di Gesù, quella di ≪Trinità dei Monti≫ e di ≪Villa Lante≫ che, un bel giorno all’improvviso videro sopraggiungere presso di loro due signore spagnole — di cui una anziana di origini sivigliane — con i loro bambini, coniugate con degli aviatori italiani i quali, per evidenti ragioni di sicurezza, avevano trovato usbergo da qualche altra parte per non farsi acciuffare dai nazisti. Fu cosi che il 19 ottobre 1943 le
Fin dal mese di ottobre del 1943, come abbiamo accennato in precedenza, si provvide a impartire precise istruzioni a tutti i conventi e le chiese d’Italia, esortandoli a spalancare le porte delle loro case religiose a tutti i perseguitati politici, in special modo agli ebrei, per offrire loro un adeguato rifugio. Naturalmente anche le religiose della Società del Sacro Cuore di Gesù non restarono indifferenti ai desiderata del Pontefice, come si evince chiaramente da una nota autografa trascritta nel Giornale della Casa di Villa Lante, del 9 novembre 1943:
Anche in virtù della ricerca di cui rendiamo conto in questo articolo, ci sembra di poter affermare dunque, senza tema di smentita, che questa opera condotta in sordina dal Vaticano senza grossi proclami, di aiutare cioè ≪segretamente≫ tanta povera gente, offrendo loro dei nascondigli sicuri per metterli al riparo da occhi indiscreti, in ultima analisi, si sia rivelata una scelta saggia e lungimirante. In segno di riconoscenza per l’ospitalità ricevuta, il 2 giugno del 1944 — proprio in occasione dell’onomastico del Papa — tutte le rifugiate presso la Casa delle religiose della Società del Sacro Cuore di Gesù al Gianicolo, decisero di fargli pervenire tramite la superiora madre Saladini, un telegramma augurale, esprimendosi in questi termini:
L’ospite misteriosa della madre superiora
Il 5 giugno 1944, la superiora generale della Società del Sacro Cuore, ricevette finanche la visita della marchesa Caterina Leonardi di Villacortese dama di corte della regina Elena di Savoia che giunse a ≪nome di Sua Maestà per ringraziare madre Manuela Vicente dell’ospitalità che aveva concesso a sua sorella, la principessa Milica [Petrović Romanoff], Gran Duchessa di Russia≫, tenuta scrupolosamente lontano da occhi indiscreti al punto che perfino le altre consorelle della comunità ignoravano la sua vera identità per tutto il periodo della sua permanenza presso la casa di Trinità dei Monti.
Infatti, su espresso desiderio della Santa Sede, madre Manuela Vicente aveva accettato ben volentieri di offrire
Inoltre, per più di sei mesi, le religiose del Sacro Cuore di Gesù, diedero asilo anche a un’altra personalità di nobile lignaggio; stiamo parlando di sua altezza Gabriele di Bourbon principe di Casertae del Regno delle due Sicilie che, insieme ai suoi tre figli nati dal secondo matrimonio con la principessa Cecylia Lubormirska, Maria Immacolata, Maria Margherita e Casimiro di soli 5 anni, agli inizi del 1944, si era rivolto alle suore chiedendo di ≪essere ospitati nell’antico monastero (…) a causa di particolari difficolta nel reperimento di alloggi≫.
Concludendo possiamo affermare dunque, al di la di ogni ragionevole dubbio, che una presa di posizione pubblica di Pio XII rispetto all’ignobile genocidio perpetrato dai nazisti, probabilmente, gli sarebbe valso un encomio solenne sul piano storico, ma ciò non avrebbe fatto altro che peggiorare la già precaria situazione dei perseguitati, compromettendo la sorte di tanti innocenti che avevano avuto la sventura di cadere nelle mani dei tedeschi, come del resto dimostra emblematicamente l’episodio della lettera pastorale di aspra condanna dell’episcopato olandese fatta leggere nelle loro chiese il 26 luglio 1942.
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