Light
Dark
Light
Dark

25 luglio 1943: l’ultimo atto del regime

Un terremoto politico scuote le fondamenta del regime fascista: Benito Mussolini, il Duce che per oltre vent’anni ha dominato la scena politica italiana, viene improvvisamente sfiduciato da 19 gerarchi durante una drammatica seduta notturna del Gran Consiglio capeggiati da Dino Grandi. Poche ore dopo, il sovrano convoca il Duce e lo solleva dall’incarico nominando il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio a capo di un nuovo governo. La notizia deflagra nella capitale e si propaga rapidamente in tutto il paese, accolta da un’ondata di reazioni contrastanti. ne decreta la destituzione, ponendo fine a vent’anni del regime fascista. Nelle piazze, la gente si riversa festante, abbattendo i simboli del regime e invocando la pace. La caduta di Mussolini apre un vuoto di potere che scatena manovre di palazzo e ambizioni personali. Badoglio, uomo di fiducia del Re e figura di spicco dell’esercito, si trova a dover gestire una situazione estremamente delicata: mantenere l’ordine pubblico, rassicurare gli alleati (e soprattutto i nemici) sulle intenzioni del nuovo governo e, soprattutto, decidere le sorti del regime fascista e dell’Italia in guerra. La destituzione di Mussolini segna la fine di un’epoca e l’inizio di un periodo di transizione tumultuoso e pieno di incognite. L’Italia è a un bivio, di fronte a scelte cruciali che ne determineranno il futuro. Il mondo intero guarda con attenzione a quanto accade a Roma, consapevole che il destino di un intero paese è appeso a un filo. È l’inizio di un percorso verso l’armistizio che, attraverso una sanguinosa guerra civile, condurrà alla Liberazione.

Giovanni Preziosi

Giovanni Preziosi

Giovanni Preziosi nasce 55 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino prima di intraprendere gli studi universitari presso l’Università degli Studi di Salerno dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea. Nel corso di questi anni ha coltivato varie passioni, tra cui quella per il giornalismo, divenendo una delle firme più apprezzate delle pagine culturali di alcune prestigiose testate quali: “L’Osservatore Romano”, “Vatican Insider-La Stampa”, “Zenit”, “Il Popolo della Campania”, “Cronache Meridionali”. Ha recensito anche alcuni volumi per “La Civiltà Cattolica”. Inoltre, dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo “Christianitas” e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Recentemente ha fondato anche il sito di analisi ed approfondimento storico "The History Files”. Ha insegnato Storia Contemporanea al Master di II° livello in “Scienze della Cultura e della Religione” organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati di qualsiasi fede religiosa o colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume “Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità” (Walter Pellecchia Editore, 2006); “L’affaire Palatucci. “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce dei documenti e delle testimonianze dei sopravvissuti” (Edizioni Comitato Palatucci di Campagna, 2015), “Il rifugio segreto dei gerarchi: Storia e documenti delle reti per l'espatrio clandestino dei fascisti” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 23 febbraio 2017) e “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti” (SECONDA EDIZIONE - Independent Publishing, maggio 2022) nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.
Share the post

Goditi l'accesso digitale illimitato

Puoi leggere in anteprima alcuni contenuti selezionati ed i nostri approfondimenti storici soltanto effettuando l’iscrizione a REPORT NOVECENTO.

Sei già iscritto?
Getting your Trinity Audio player ready...

Il 25 luglio del 1943 era un’afosa domenica d’estate e fin dalle prime ore del mattino per le strade di Roma si respirava ancora l’odore acre dei quartieri sventrati dai micidiali ordigni sganciati dai bombardieri americani B17 che, il 19 luglio, avevano seminato ovunque morte e distruzione facendo registrare circa tremila vittime e almeno diecimila feriti proprio mentre si svolgeva a San Fermo, nel castello secentesco dell’industriale veneziano Achille Gaggia, a poco più di venti chilometri da Feltre, lo storico incontro tra Mussolini e Hitler.

L’incontro al vertice tra Hitler e Mussolini a Feltre.

La situazione, già di per sé molto precaria, era difatti precipitata irrimediabilmente il 10 luglio con lo sbarco sulle coste siciliane delle tredici divisioni Anglo-Americane. A quel punto il collasso del regime era ormai alle porte, tanto che già si incominciavano a percepire i segni del suo tramonto come scriveva, il 18 luglio, il cronista del monastero benedettino di Montevergine:

alle ore 20.20 la radio italiana trasmette un discorso del Segretario del Partito Fascista Carlo Scorza. (…) È un appello supremo alla resistenza, un richiamo al popolo italiano, allo spirito di estremo sacrificio. Il discorso è sembrato, ad impressione di tutti, l’elogio funebre del Fascismo.

Cronache del monastero benedettino di Montevergine, 18 luglio 1943
Dino Grandi (Mordano, 4 giugno 1895 – Bologna, 21 maggio 1988)

In effetti il monaco benedettino aveva colto proprio nel segno perché, il disperato tentativo del Duce di convincere il Führer a sciogliere il patto di alleanza e siglare una pace separata, non sortì gli effetti sperati e finì, inevitabilmente, per alimentare un profondo malcontento finanche all’interno del Partito fascista e tra le alte gerarchie militari che, a quel punto, come scrive nel suo diario il generale Castellano, incominciarono ad accarezzare l’idea di «liquidare Mussolini» e «ordire un colpo di stato interno» che, com’è noto, si materializzò nella notte tra il 24 e il 25 luglio, nel corso di una drammatica seduta del Gran Consiglio, al termine della quale fu approvato a maggioranza l’ordine del giorno stilato dal Presidente della Camera Dino Grandi che prevedeva il ripristino dello Statuto e delle libertà costituzionali sancendo, implicitamente, il de profundis del regime.

I manoscritti di Luigi Federzoni che raccontano la fine di Mussolini

Signori – replicò, infatti, sdegnato Mussolini al termine della seduta –, con questo voto avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta.

L’ultima notte del regime. I verbali di Luigi Federzoni
I voti dell’Ordine del Giorno presentato da Dino Grandi
Seduta del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943

Il resto è fin troppo noto. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, infatti, il Re convocava Mussolini nella sua residenza privata, a Villa Savoia, obbligandolo a rassegnare le dimissioni, ordinandone l’arresto – eseguito dai tre ufficiali dei carabinieri Giovanni Frignani, Paolo Vigneri e Raffaele Aversa – e poi l’internamento, dapprima nell’isola di Ponza ed in seguito sul Gran Sasso a Campo Imperatore.

25 luglio 1943 (ore 17): l’arresto del Duce a Villa Savoia

Proprio alla vigilia di quella memorabile seduta, il 24 luglio, uno dei principali artefici della fronda interna, Giuseppe Bottai, presagendo la violenta ritorsione anche nei suoi confronti dei fedelissimi del Duce, aveva fatto pervenire al procuratore generale dei Salesiani, don Francesco Tomasetti (Talamello – Pesaro Urbino, 2 aprile 1868 – Roma, 4 maggio 1953), alcune carte e documenti personali accompagnati da una lettera nella quale dichiarava:

Secondo gli accordi presi in Nazzareno, vi mando intanto un pacco di mie carte e documenti personali, di nessuna compromissione, ma essenziali per eventuali documentazioni. Il latore vi dirà che si sta preparando a casa mia un baule d’oggetti d’uso. Voi vorrete dirgli quando può portarli costà.

Giuseppe Bottai, 24 luglio 1943

Il sacerdote salesiano, evidentemente, si mostrò molto comprensivo e dovette usare anche parole di conforto nei suoi confronti, ben sapendo il momento difficile che stava attraversando, considerato che Bottai, l’11 agosto successivo, dalla sua abitazione in via Mangili 9, si sentì in dovere di scrivergli un’altra lettera nella quale, rispolverando velocemente le travolgenti stagioni della sua vita, affermava:

Reverendo e caro Padre, molte volte, durante questi giorni di forzato raccoglimento, sono stato sul punto di scrivervi, per dirvi quanto le affettuose parole che mi avete fatto giungere e la vostra premurosa assistenza mi sieno state di conforto. Poi, ho rimandato di giorno in giorno, fino ad oggi. Perdonatemi. Gli è che non è stato facile smaltire intellettualmente i fatti di questa grande crisi. E dico intellettualmente proprio per significare la serenità morale con cui li ho vissuti, forte della mia sicura coscienza. (…) Se la sorte vorrà che un dì, prossimo o lontano, io debba vivere un po’ di più accanto a voi, meglio che non per iscritto io v’aprirò il mio cuore.

Giuseppe Bottai, 11 agosto 1943
Luigi Federzoni (Bologna, 27 settembre 1878 – Roma, 24 gennaio 1967)

Pertanto, senza alcun indugio, don Tomasetti subito gli fece sapere che era disponibile ad esaudire la sua richiesta, provvedendo a prendere in custodia temporanea il baule contenente i suoi «oggetti d’uso» – che, tuttavia, rimase presso la Procura soltanto pochi giorni – e i due plichi di carte che, viceversa, verranno ritirate dai familiari soltanto a liberazione di Roma avvenuta il 14 luglio 1944. Sapendo di queste amicizie che il procuratore salesiano aveva allacciato con vari personaggi di spicco dell’entourage fascista Pio XII, il 27 luglio, lo invitò nel suo studio in udienza privata per apprendere tutti i particolari accaduti nel corso della riunione del Gran Consiglio, di cui l’ineffabile sacerdote era riuscito a raccogliere le prime indiscrezioni grazie alle rivelazioni di uno dei partecipanti: l’ex ministro e presidente del Senato Luigi Federzoni che, come risulta dai fogli di udienza, fu subito ricevuto dal pontefice alle 9,30 del 29 luglio successivo.

Nel frattempo, la Segreteria di Stato aveva già provveduto ad attivare i suoi canali diplomatici attraverso il Sostituto mons. Montini che, fin dalla mattina del 25 luglio, si era incontrato nello studio a Piazza di Spagna del segretario della Congregazione di Propaganda Fide, mons. Celso Costantini con l’ex ministro delle Finanze Alberto De Stefani il quale, senza alcun infingimento, gli aveva raccontato fin nei minimi particolari tutti i retroscena e le conclusioni a cui erano pervenuti i membri del Gran Consiglio.

Ma quali erano le sensazioni che in quei frangenti si percepivano negli ambienti ecclesiastici appena si diffuse la notizia dell’improvvisa destituzione di Mussolini? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto ancora una volta il cronista di Montevergine che, il 26 luglio, scriveva con legittima preoccupazione:

Nelle prime ore del mattino si viene a conoscenza della caduta del primo ministro dello Stato Italiano Mussolini e con lui del Partito Fascista. I particolari non si conoscono ancora. Un silenzioso timore si è impossessato di tutti. Tutti attendono con trepidazione gli avvenimenti delle prossime ore. Tuttavia sembra che le cose siano avvenute con calma. Il ministro Badoglio – continuava – succeduto a Mussolini ha indetto per l’Italia lo stato d’assedio con la legge del coprifuoco. In tutte le città viene creato il Commissariato Militare.

Cronache del monastero benedettino di Montevergine, 26 luglio 1943

La stessa costernazione si ravvisa anche nelle cronache delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Genova che, in quello stesso giorno, dopo aver appreso del sorprendente comunicato ufficiale del Sovrano diffuso dalla radio, con malcelato compiacimento scrivono:

Questa mattina sappiamo la notizia diffusa dalla radio durante la notte: il Partito Nazionale Fascista è caduto e si è proclamato un nuovo governo: il Re assume il comando delle Forze Armate e nomina il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio 1° Ministro, conferendogli pieni poteri. La notizia suscita in tutta Italia fervide dimostrazioni di gioia. Il proclama del Re e quello di Badoglio aprono il cuore alla speranza sulle sorti della nazione, che vive ore quanto mai tragiche e gravi. La fiducia rianima tutti e si spera nella vittoria nonostante le condizioni difficilissime. Seguiamo con interesse e trepidazione le vicende della nostra diletta Italia, e preghiamo fervidamente perché la guerra finisca presto con la pace e la vittoria.

Cronache delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Genova

Poi, mano a mano che incominciarono a circolare le prime indiscrezioni, l’entusiasmo prese il sopravvento, come leggiamo nelle Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Bologna:

Crollo del Fascismo, gran macchina da molto tempo screpolata e balbettante. Non sta a noi fare commenti sui fatti dolorosi che ne hanno provocato la catastrofe. (…) Proclama di S.M. il Re Vittorio Emanuele e del Maresciallo Badoglio. Il Cuore di Gesù li aiuti a salvare il salvabile per migliorare quant’è possibile l’intricata dolorosa situazione in cui si trova la povera cara Italia nostra. Il cambiamento di Governo, avvenuto ieri sera, suscita reazione qua e là anche in paese. Noi siamo lasciate in pace, però la sera si sprangano meglio le porte.

Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Bologna

La comunità di Recanati, invece, il 25 luglio commentava con un certo sgomento:

Colpo di Stato a Roma. Abolizione del Fascismo e della sua gerarchia. Chi sa le tristissime cose che ci prepara l’avvenire con la divisione dell’Italia in partiti! Che Dio illumini i Capi a non imprender cose che riescano a danno della Nazione! Noi siamo abbandonate alla Provvidenza divina, e speriamo che la Madonna ascolti le nostre preghiere e ci ottenga il termine di questa guerra micidiale.

Memorie delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Recanati, 25 luglio 1943

E ancora, il giorno successivo, le consorelle di Trento tirando un lungo sospiro sottolineavano compiaciute: «La notizia del cambiato governo porta sollievo».

L’atteggiamento di prudente attesa che si percepisce da queste pagine si riscontra anche nel Diario del parroco di Fabbrico, piccolo comune della pianura Padana a poca distanza da Reggio Emilia, don Francesco Bassoli, che in data 26 luglio così scrive:

La inaspettata notizia, lanciata alle ore 11 di notte attraverso la radio, causò sorpresa in un primo tempo [tra] gli italiani, suonò peraltro come sollievo in tutti gli animi, i quali si videro come liberati provvidenzialmente da un infausto incubo, che da troppo tempo pesava su tutti come una cappa di piombo. Il movimento nuovo, che si era affermato colla violenza e col sangue, era fatale che avesse termine anche attraverso a questa catastrofe: nil violentum durabile. Così furono generali le dimostrazioni di giubilo in tutto il Paese. Dimostrazioni che, lasciate in balia del popolo degenerarono in iscandescenze deplorevoli. Poiché, come un po’ in tutti i paesi, così a Fabbrico non si limitarono solo a togliere tutti i ricordi del Duce, ma per opera di giovinastri fu data la scalata ai pubblici Uffici, lasciati deplorevolmente incustoditi, e dato alle fiamme tutto che venne loro alle mani. (…) Preghiamo Iddio – concludeva fiducioso don Bassoli – che il Generale Badoglio, cui la Maestà del Re affidò le sorti del Governo in questo momento difficile, possa contenere attraverso ad un Regime militare gli inconsulti propositi, e guidare la Nazione a migliori destini.

Diario del parroco di Fabbrico don Francesco Bassoli, 26 luglio 1943

In tutto il Paese esplodono per le strade manifestazioni spontanee per festeggiare la caduta del fascismo e la fine di un incubo che era durato venti lunghi anni, come si evince anche sfogliando le pagine della cronaca stilata da suor Marie Vianney Boschet delle Orsoline dell’Unione Romana allorché scrive:

La mattina presto Don Mario Marchi telefona che Mussolini ha rassegnato le dimissioni ed è stato sostituito da Badoglio. La M. Priora lo ha scritto sulla lavagna e noi lo apprendiamo così dopo pranzo. Quelli della Nunziatura e gli altri sono obbligati a uscire costantemente per le strade in un’agitazione gioiosa. La bandiera dei Savoia è sfilata. Sui tram e autobus sventolano due piccole bandiere dei Savoia, ed ai loro fianchi sono imbrattate con iscrizioni in gesso: Viva l’Italia! Viva il Re! Viva Badoglio. Morte a Mussolini! e cose simili. È stato raschiato il fascio dappertutto. In città, i centri fascisti sono presi d’assalto, saccheggiati, si sono bruciati gli archivi, etc. (…) Tutte le strade sono piene di soldati armati, di mitraglieri, camion e di carri armati. La P.S. stessa è armata di fucili. Sembra – conclude con un velo di mestizia la religiosa – che ci sono stati alcuni scontri qua e là, ma così pochi che (si può dire) quasi niente.

Cronaca delle Orsoline dell’Unione Romana stilata da suor Marie Vianney Boschet

Difatti, così scriveva sul giornale elvetico Neue Zürcher Zeitung il corrispondente dall’Italia il giorno successivo alla capitolazione di Mussolini:

Una notte di luglio è bastata per rovesciare un regime politico. Quando la notizia delle dimissioni di Mussolini è stata diffusa la sera del 25 luglio tramite la radio romana, è iniziato un improvviso movimento che si è propagato da quartiere a quartiere, da casa a casa, di bocca in bocca, come se un incantesimo maligno fosse stato spezzato all’improvviso.

Le strade e i vicoli si sono riempiti. Con drammatica, impetuosa eccitazione, le masse popolari si sono scagliate contro tutto ciò che fino a quel momento era stato sacro per il Partito, per distruggerlo.

Gruppi di giovani sono entrati nei locali del Partito fascista, nei dopolavoro, nella sede del Sindacato dei giornalisti, e hanno dato alle fiamme tutto ciò che ritenevano adatto alla distruzione.

All’alba, ovunque, giovani eccitati abbattevano dalle facciate delle case ogni simbolo del fascismo.

Una ricca preda erano le immagini, fotografie e busti del Duce, onnipresenti in ogni spazio pubblico, ufficio o sede. Nessuna pietà neppure per i fasci littori usati come decorazione o illuminazione.

Una gioia collettiva sembrava aver invaso le strade affollate; ovunque si sentiva dire: ‘Finalmente liberi di nuovo’.

Il saluto fascista venne dichiarato superato. Solo una cosa mancava: canzoni antifasciste, perché semplicemente non ne esistevano ancora.

Il vostro corrispondente ha assistito a molte manifestazioni popolari a Roma. Hanno sempre trovato forza nella loro brevità. Così anche il 26 luglio, a mezzogiorno, gli animi si erano già calmati. Si può affermare per ora che, contrariamente ai timori precedenti di un possibile caos in Italia in caso di allontanamento di Mussolini, ciò non è affatto accaduto1.

Neue Zürcher Zeitung, nr. 1161, 26. Juli 1943 Ausgabe 02

Il 28 luglio successivo le suore apprendono con stupore un’indiscrezione che incominciava a serpeggiare piuttosto insistentemente tra la gente, rilanciata persino dalla radio che, tuttavia, sarà immediatamente smentita il giorno successivo, secondo la quale Hitler si era suicidato nel suo quartier generale a Rastenburg.

Sembra che ieri – scrive tra le pagine del suo diario il 29 luglio la Priora della Comunità del Generalato suor Magdalen Bellasis, una donna inglese di poche parole ma dotata di un grande temperamento – una grande folla si è riunita per celebrare la notizia della presunta morte di Hitler, e che ora dopo aver appreso che lui è vivo, sono piuttosto nervosi per le conseguenze. Non credo che qualcuno possa ottenere un rimprovero … C’è stato un po’ di disturbo qua e là per la scomparsa del fascismo, e anche un paio di persone uccise; Ieri ci sono state grida di “Viva il Duce!” in alcuni ambienti, ma nel complesso tutto è stato incredibilmente tranquillo.

Diario della Comunità del Generalato delle Orsoline dell’Unione Romana stilato dalla Priora suor Magdalen Bellasis 29 luglio 1943
Card. Francesco Borgongini Duca (Roma, 26 febbraio 1884 – Roma, 4 ottobre 1954)

Il Nunzio apostolico in Italia, mons. Francesco Borgongini Duca, in seguito rivelò che 15 poveri soldati tedeschi, appena avevano appreso questa notizia, si erano lasciati andare a manifestazioni di giubilo, e per questo motivo poco dopo erano stati immediatamente fucilati. Fin dall’11 giugno 1940, infatti, il prelato aveva chiesto a Madre Pierina Piccoli – che allora sostituiva la superiora generale – di essere aiutato presso la Nunziatura nel lavoro che stava svolgendo a beneficio dei rifugiati, cosicché furono inviate alcune suore, tra le quali spiccava Sr. Stanislawa Połotyńska che, per circa 5 anni consecutivi, divenne la responsabile della commissione pontificia che si occupava dei rifugiati polacchi. Ben presto, però, leggiamo nel dossier di Madre Stanislawa:

questo lavoro, che all’inizio era rivolto solo ai polacchi, con gli anni s’indirizzò sempre di più anche verso altre nazionalità: austriaci, tedeschi, francesi, jugoslavi ed ebrei. Bisogna soprattutto sottolineare l’attività caritativa del dipartimento finanziario della Nunziatura nella concessione di aiuti ai polacchi e ai cittadini polacchi di origine ebraica. I fondi sono stati concessi dalla Santa Sede per ordine esplicito di Papa Pio XII», con i quali si sosteneva anche il movimento di resistenza polacca che si trovava a Roma.

Dossier di Sr. Stanislawa Połotyńska

Grazie a questi contatti con la Nunziatura, per metterli al riparo da ogni pericolo, furono accolti presso la Casa Generalizia delle Orsoline in via Nomentana 236, molti rifugiati politici ed ebrei, fra cui Maria Luisa Fornari Della Seta, Jetta Hendel, la signora Campagnano – nascosta con il nome di Paola Anticoli-Naldi – alcuni generali e colonnelli polacchi ferocemente braccati dai tedeschi e perfino la sorella del maresciallo Badoglio, la signora Anna Maria Valenzano, che fu ospite delle suore dal 22 ottobre 1943 fino al 7 giugno 1944.

La stampa annuncia le dimissioni di Mussolini

La gioia irrefrenabile per essersi finalmente sbarazzati di Mussolini e del fascismo spesso sconfinò in una vera e propria damnatio memoriae, con la distruzione sistematica di tutti i simulacri del suo potere per cancellare definitivamente anche il più vago ricordo di quel bieco ventennio, come del resto sottolinea nel suo diario anche suor Magdalen Bellasis che, il 26 luglio, scrive:

Questa mattina (…) il secondo giardiniere è venuto da me e mi ha detto: “Madre, hanno mandato via Mussolini perché ha rovinato il paese. Hanno messo Badoglio”. Ha aggiunto a titolo di conferma: “È stato il parroco di Sant’Agnese che me l’ha detto”. (…) Più tardi nella mattinata la nostra sorella touriere, che era andata a fare una commissione, entrò e disse: “Questo non è un giorno per stare fuori di casa”. Manifestazioni anti-fasciste erano in corso dappertutto. Tutti sventolavano bandiere; gli emblemi fascisti venivano abbattuti ovunque ci fossero, ed i distintivi fascisti erano strappati via dalle persone che li indossavano. Un falò di camicie nere è stato fatto in qualche piazza o altro, e ogni uomo che ne aveva uno era costretto a strapparla e vederla aggiunta alla pila. (…) Un nostro amico telefonò per dire: “Hai sentito la buona notizia? Possiamo parlare ora e dire tutto ciò che ci piace. Mi chiedo che cosa i tedeschi ne pensano di tutto ciò!” È davvero una novità, dopo anni di cautela e prudenza (soprattutto al telefono). Dicono che le donne nelle strade si rallegrano: “Possiamo parlare ora!” (…) La provincia di Roma è dichiarata essere in stato di guerra, e il Comando Supremo ha emesso (…) il coprifuoco (…) dalle ore 9.30 fino all’alba. Oh, questi cari italiani e il loro disprezzo per l’aria fresca!», conclude con un’evidente senso dell’umorismo la religiosa. 

Diario di suor Magdalen Bellasis, 26 luglio 1943

In un circostanziato Rapporto ufficiale stilato dal controspionaggio nazista, la famigerata Abwehr, alle dirette dipendenze dell’Oberkommando der Wehrmacht (OKW), il comando supremo delle forze armate tedesche, nei giorni immediatamente successivi alla destituzione di Mussolini, per la precisione il 31 agosto 1943, custodita meticolosamente nell’Archivio federale (Bundesarchiv), per la precisione nel fascicolo relativo ai Rapporti sulla situazione dopo la caduta di Mussolini e le Notizie di negoziati e accordi tra l’Italia e gli Alleati leggiamo quanto segue:

Dopo che nei primi giorni e settimane successive alla caduta di Mussolini e lo scioglimento del partito fascista in Italia, era prevalsa una sorta di tregua, i partiti erano impegnati con questioni organizzative e al governo Badoglio era stato dato tempo per sondare la situazione politica estera, e i fascisti come storditi dalla repentina caduta erano rimasti inattivi, negli ultimi tempi i contrasti si sono acuiti, che inizialmente erano stati faticosamente velati.

Come previsto, alcune fazioni del Partito Fascista non hanno accettato passivamente la situazione, e nella notte tra il 24 e il 25 agosto è stato scoperto un complotto fascista volto a rovesciare il governo Badoglio. Il pubblico non ne è stato informato. Sui giornali è apparsa solo una breve notizia secondo cui il precedente Segretario Generale del Partito Fascista, Ettore Muti — ufficiale di riserva decorato con le massime onorificenze — era stato “ucciso” vicino a Roma.

Nei giorni successivi si è comunicato alla stampa che Muti era stato ucciso nel suo rifugio nei pressi di Roma per aver resistito all’arresto. In realtà, Muti è stato ucciso dai Carabinieri che lo scortavano. Era stato trovato nel suo rifugio, dove presumibilmente ha opposto resistenza; secondo fonti confidenziali, è stato impiccato a un albero.
La stampa ha continuato a riferire che Muti era stato ucciso nella sua casa di campagna a Fregene, perché erano emerse irregolarità nella gestione di una società para-statale alla quale era collegato. Durante l’intervento, furono sparati colpi contro i Carabinieri, e Muti cercò di fuggire. Morì sotto il fuoco dei Carabinieri.

Non lontano dalla casa di campagna, sono stati sparati dei colpi contro i carabinieri che scortavano Muti. Nella confusione che ne è seguita, Muti ha tentato la fuga ed è stato colpito dai carabinieri. In realtà Muti è stato ucciso nella sua casa di campagna perché ha lanciato granate contro i carabinieri che volevano arrestarlo. Muti è stato l’unico leader fascista che si è opposto all’arresto.
Pertanto il suo nome è stato menzionato solo sulla stampa. […]

I piani per la sollevazione fascista erano stati elaborati dall’ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Maresciallo Cavallero, che fu arrestato. Insieme a lui furono arrestati anche il Generale Galbiati, ultimo Comandante della Milizia Fascista, il Generale Agostini, Comandante della Milizia Forestale, e il Conte Ciano, coinvolto nella congiura. Quest’ultimo cercò di opporsi all’arresto invocando il titolo di Cavaliere dell’Ordine dell’Annunziata, che lo rendeva “Cugino del Re”. L’obiettivo della sollevazione era l’eliminazione del governo Badoglio e il ripristino del Partito Fascista nella sua precedente posizione di potere. I ruoli di capo del partito e capo del governo non sarebbero stati affidati a Mussolini, ma a Roberto Farinacci, ex segretario del partito negli anni successivi all’omicidio Matteotti e avversario personale di Mussolini.

Dopo il fallito tentativo di colpo di stato fascista, il governo Badoglio avviò una politica volta a screditare pubblicamente singoli membri del partito fascista e a impedire loro future attività politiche, senza condannare ufficialmente l’intero movimento fascista.

In questo contesto si inseriscono gli articoli apparsi sulla stampa il 28 e 29 agosto relativi ai rapporti tra Mussolini e le sorelle Petacci, così come la comunicazione confidenziale che annunciava imminenti arresti clamorosi per corruzione ai danni di personalità precedentemente influenti2.

Ben sapendo la liaison che da tempo il Duce intratteneva con Claretta Petacci, di 29 anni più giovane di lui, appena fu chiaro che il regime fascista era stato abbattuto, subito i giornali cominciarono a prendere di mira la famiglia della sua amante come, del resto, apprendiamo dall’articolo pubblicato da un cronista del “Messaggero” di Roma e ripreso anche dal quotidiano torinese “La Stampa” il 30 agosto 1943 nel quale leggiamo:

La mattina del 26 luglio, mentre la popolazione romana rinnovava per le strade e le piazze le sue manifestazioni di giubilo, un gruppo di dimostranti fu visto entrare nel portone di via Nazionale contrassegnato col numero 69. Di li a poco da finestre e balconi di quel palazzo incominciarono a cader giù mobili e suppellettili, tra cui potevano notarsi camici bianchi, microscopi, brandine e poderosi volumi evidentemente sottratti ad una biblioteca scientifica. Che della incruenta defenestrazione fosse oggetto il gabinetto di un medico era più che certo. Non tutti però sapevano che si trattava del gabinetto del dott. Francesco Saverio Petacci. A provocare l’irruzione degli scalmanati dimostranti non era stata certo la vendetta di qualche paziente che le cure del dott. Petacci non avevano soddisfatto: ben altri ne erano i motivi, e la folla che sempre più andava addensandosi per assistere al chiassoso spettacolo, ripeteva il nome di quel medico sottolineandolo con significative risate e pittoreschi commenti. H medico non era tanto conosciuto per la sua attività professionale e neppure per gli scritti divulgativi di medicina che proprio sulle colonne del Messaggero trovavano generosa ospitalità. Un nesso tuttavia fra questi scritti e la trista celebrità del loro autore esisteva. Alcuni anni or sono, Infatti, il dott. Petacci era stato accolto fra i collaboratori del giornale romano in virtù di un’altissima segnalazione. Perché da molto in alto il dottor Petacci era benvoluto e protetto. Ed egli, del resto, nella sua copiosa produzione scientifica che con furia di burrasca si abbatteva sulle colonne del giornale, più volte rese atto dell’altissima protezione di cui largamente, beneficiava. Il primo Incontro Al protettore, d’altronde le teorie scientifiche del dott. Petacci interessavano poco o nulla. Fino a qualche mese avanti egli ignorava assolutamente il nome del pletorico articolista. La prima volta che l’altissimo personaggio aveva sentito pronunziare quel nome era stato sulla spiaggia di Ostia. La presentazione non era avvenuta col medico, sebbene con una sua piacente figliuola di nome Claretta3.

Il 27 luglio, col precipitare inesorabile degli eventi, seguendo il consiglio di Mussolini, la famiglia Petacci composta da Claretta, Maria e dai genitori il dottore Francesco Saverio la moglie Giuseppina Persichetti, fece in fretta le valigie e, per precauzione, si rifugiarono nella villa che la sorella Maria occupa a Meina, sul Lago Maggiore, con il marito il marchese Armando Buggiaro. In caso di pericolo la Svizzera era a due passi. Maria è la sorella minore di Claretta aveva da poco intrapreso la carriera cinematografica col nome d’arte di Myriam (Miria) di San Servolo. Il fratello Marcello, tuttavia, decide di rimanere a Roma con la moglie e i suoi due figli. Accade però un imprevisto considerato che a distanza di pochi giorni, il 12 agosto 1943, i Carabinieri di Arona, agli ordini del capitano Vincenzo Celia, su disposizione del maresciallo Badoglio procedono all’arresto di tutti i membri della famiglia Petacci e li trasportano nel carcere di Novara. All’indomani della nascita della Repubblica Sociale Italiana, il 17 settembre 1943, la famiglia Petacci riacquistò la libertà e Claretta potrà rivedere il suo Ben sul lago di Garda.

La sera del 25 luglio, quando la radio trasmise la famosa notizia, i Petacci non erano a Roma. Mentre il dottore e sua moglie si trovavano in una delle loro ville nei dintorni di Meina, Claretta e Maria erano a Milano. Dopo che entrambe avevano appreso del crollo del fascismo, si affrettarono a tornare a Roma per cercare i loro genitori. L’onorevole famiglia rimase in quella villa, attentamente sorvegliata dalla polizia, fino alla notte del 13 agosto, quando i carabinieri arrestarono tutti e quattro i membri della famiglia e li portarono nelle carceri di Novara. Durante il viaggio, la madre rimproverò tra le lacrime le figlie, mentre il padre taceva avvolto nel dolore.

Il motivo dell’arresto è ancora un segreto. Ma deve esserci una ragione. Si parla di documenti importanti che sarebbero stati trovati addosso alle due sorelle. Alcuni albergatori di Novara, che sono stati invitati a fornire i pasti ai prigionieri, hanno rifiutato. […] un figlio del dott. Petacci, di nome Marcello, che è anche professore ordinario all’Università di Pisa, si trova anche lui in arresto a Roma.

Calava, così, il sipario sul fascismo che, per un lungo ventennio, aveva conculcato sotto il giogo della dittatura, la libertà e i diritti più elementari di un intero paese che, finalmente, poteva riappropriarsi del proprio futuro, voltare definitivamente pagina e cominciare a scrivere un nuovo capitolo della sua storia.

NOTE

  1. Svolta politica in Italia fine della dittatura di Mussolini – Il Maresciallo Badoglio assume il governo – “La guerra continua”, in “Neue Zürcher Zeitung“, Nummer 1161, 26. Juli 1943, pag. 1.
    Il mutamento politico che si è verificato nelle ore tarde di domenica sera a Roma ha posto fine, dopo quasi ventuno anni, alla dittatura di Mussolini. Il 25 luglio 1943 si è chiusa un’epoca della storia italiana che era iniziata il 28 ottobre 1922 con la nomina di Mussolini a Presidente del Consiglio. Dal giorno in cui la marcia dei fascisti su Roma lo aveva innalzato al potere, Mussolini, come capo del governo, era la figura rappresentativa della politica italiana. Sul suo ruolo personale si fondava il regime fascista.
    Cinque mesi e mezzo prima aveva cercato nuovamente di consolidare tale posizione, insediando nei ministeri più importanti i leader del Partito Fascista, con l’intento di rafforzare la volontà di proseguire la guerra al fianco della Germania.
    La decisione del Re Vittorio Emanuele III di accettare le dimissioni di Mussolini e di affidare al Maresciallo Badoglio tutti i poteri per la conduzione del governo appare come il risultato di una crisi causata sia dal collasso del regime politico, sia dallo sviluppo della guerra, che per l’Italia stava diventando un pericolo estremo.
    La caduta del dittatore fascista segna per l’Italia un punto di svolta, dal quale il paese cerca nuove strade. Per quanto ciò sia certo, al momento attuale sarebbe prematuro trarre conclusioni definitive sull’orientamento di queste nuove strade e sulle conseguenze del cambiamento politico.
    Nella presente esposizione, il passaggio di governo appare come il risultato di un’iniziativa della corona, la cui fiducia nel capo del governo fascista, nonostante il potere assoluto vigente, è venuta meno.
    La situazione in Italia è ora imprevedibile, poiché gli eventi appena accaduti e le forze emerse hanno spinto il re a prendere una decisione definitiva. È chiaro che Badoglio non potrà essere contenuto nei limiti fissati dalle proclamazioni del re e dello stesso Maresciallo. Un ritorno al sistema politico fascista è indubbiamente escluso.
    Il Partito Fascista, strumento nelle mani del suo creatore Mussolini, dopo la sua caduta non può più essere considerato come forza dominante e fondante dello Stato.
    Con la nomina del Maresciallo Badoglio e l’annuncio della formazione di un governo militare emerge chiaramente che il peso politico in Italia si è spostato verso l’esercito. Dai suoi ranghi dovrebbe emergere un nuovo centro di potere decisionale, capace di mantenere l’ordine interno e affrontare la crisi militare.
    La proclamazione del re, priva di qualsiasi riferimento al fascismo, e il richiamo alle istituzioni che in passato avevano permesso all’Italia di rialzarsi, lasciano intendere un possibile ritorno a forme di governo non fasciste.
    ↩︎
  2. BArch, RW 5 OKW / Amt Ausland/Abwehr, RW 5 Amt Ausland/Abwehr, 1 Abteilung / Amtsgruppe Ausland, 1.3 Gruppe II / Ausland II (Beziehungen zu fremden Wehrmächten; Allgemeines), RW 5/25a, Italien.- Meldungen und Nachrichten, 28.07.-05.10.1943, Relazioni sulla situazione dopo la caduta di Mussolini e Notizie su trattative e accordi tra l’Italia e gli Alleati, Geheime Kommandosache – Vertraulicher Bericht, (Documento Segreto – Rapporto riservato) del 31 agosto 1943, pag. 4. ↩︎
  3. Ivi, documento dattiloscritto in tedesco, tratto dal quotidiano italiano “Il Messaggero” del 29 agosto 1943, n. 207, Un film in tutta verità – La famiglia Petacci nelle carceri di Novara, pag. 5. Ecco come, secondo il Messaggero, erano andate le cose: «L’altissimo personaggio si era concesso un pomeriggio di riposo. La spiaggia era affollata di bagnanti che festeggiavano l’ospite di riguardo, dal quale tuttavia erano tenuti a doverosa distanza per via del 10 zelo di personaggi secondari che facevano corona al principale. Sapientemente disposti nei punti più strategici, e alcuni addirittura immersi nella sabbia o nelle onde come sirene, numerosi fotografi erano pronti per lo scatto. L’ospite che in attillato costume da bagno metteva in mostra il suo petto abbronzato, gettava intorno occhiate dominatrici. Dalla folla, ad un tratto, profittando di un piccolo vano apertosi tra le file del seguito, una bagnante si precipitò verso il personaggio. Due o tre uomini prontamente le furono addosso. Ma con benigno sorriso l’interessato fece cenno di lasciarla avvicinare. Si trattava, d’altronde, di una giovine donna di cui il succinto costume metteva in vista forme tutt’altro che spiacenti, Claretta era il suo nome: Claretta Petacci, di Francesco Saverio e di Giuseppina Persighetto, maritata Federici (ma quest’ultimo particolare non ha importanza). Che mai aveva spinto Claretta a tentare una così inopinata udienza e in una tenuta così fuori dell’ordinario? L’ammirazione, nient’altro che l’ammirazione per l’ospite di quella spiaggia. E all’interessato, essa lo dichiarò senz’altro, con voce commossa al cospetto del mare. «Vi ammiro da anni — ella disse. — Sono mesi che vi scrivo quasi ogni giorno. Vi ho mandato anche dei versi… Il personaggio corrugò la fronte per concentrarsi nel tentativo di ricordare. Versi ne riceveva tanti e non sempre da sconosciuti, ma spesso non li leggeva. Ma i versi a lui dedicati da quella donna che gli stava davanti dovevano essere più interessanti degli altri. E che potevano essere se non versi di amore? La conclusione del colloquio fu che la signora Claretta venne invitata a recarsi all’indomani nell’ufficio dell’altissimo personaggio. E il giorno dopo — continua il Messaggero — l’autrice dei quegli introvabili versi era nuovamente a colloquio con l’eminente personalità» (cfr. Le vicende di Claretta, in “La Stampa”, Lunedì 30 Agosto 1943, pag. 2). A Roma, del resto, la voce di questa relazione girava da tempo, sia pure limitata agli ambienti dei gerarchi e ai salotti importanti. Tuttavia, i pettegolezzi si concentravamo maggiormente sui familiari di Claretta: il padre, il chirurgo Francesco Saverio, difatti, era diventato rapidamente un medico famoso e ricercato; senza contare la sorella Myriam, che in seguito assumerà il nome d’arte di Miria di san Servolo che, evidentemente, grazie ai buoni uffici dell’amante della sorella, riuscì ben presto a soddisfare i suoi sogni e ambizioni di attrice cinematografica. Dal carteggio tra Mussolini e l’amante Clara Petacci apprendiamo che, il 2 febbraio 1944, il Duce scrivendo a Claretta consigliava di mettersi al sicuro: «Ti mando le carte di Marcello. Adesso si tratta di farlo partire, in perfetto ordine. Egli può preparare un punto di riferimento per te e i tuoi in ogni possibile circostanza. Anche l’idea di portare Mimì da qualche parte, non è malvagia. Lì con un altro nome potrebbe riprendere la sua strada». Quindi, poco dopo maturò l’idea di farla trasferire in Spagna dove, magari, avrebbe potuto anche riprendere la sua carriera di attrice. Di tutto ciò, naturalmente, se ne occupò personalmente Mussolini che, l’11 aprile 1944, così scriveva a Claretta: «Mia piccola cara, ho parlato di Mimi. Quella scelta è la via migliore, senza disturbare, almeno all’inizio, le superiori autorità. Sono le nove. Ho molto lavorato e sono molto stanco. Di nuovo, l’atmosfera si è appesantita. Le cose non vanno. La massa è nuovamente depressa». In effetti, di lì a poco, il 27 giugno 1944, Myriam parte diretta alla volta della penisola iberica insieme ai due partner con i quali aveva fondato la società cinematografica. Ritornerà dalla Spagna soltanto alla fine di dicembre di quello stesso anno per trascorrere quello che sarà l’ultimo Natale insieme alla sua famiglia.  ↩︎

© Giovanni Preziosi, 2025

Tutti i diritti riservati. Tutti i contenuti pubblicati in questo articolo sono protetti da copyright e non possono, né in tutto né in parte, in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, essere utilizzati, modificati, copiati, pubblicati o riprodotti senza il consenso scritto dell’Autore e la citazione della fonte.

Share the post

Iscriviti alla nostra newsletter

Le scelte degli esperti e le ricerche esclusive, nella tua casella di posta. Rimani aggiornato sulle nostre novità!

Thank you for subscribing to the newsletter.

Oops. Something went wrong. Please try again later.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!